martedì 5 febbraio 2008

La morte del boss Molè e l’incubo di una nuova faida di ‘ndrangheta


Gli hanno sparato quattro colpi di pistola calibro 9 alla testa decretando così la fine di uno dei massimi esponenti di quella che gli investigatori definiscono l’ “aristocrazia” della ‘ndrangheta, scatenando un vero e proprio terremoto tra le cosche del reggino e, probabilmente, la ripresa della guerra di mafia.L’omicidio di Rocco Molè, 42 anni, ucciso in un agguato a Gioia Tauro, non può non essere definito eccellente nel panorama criminale. Condannato in appello ad un ergastolo e a 12 anni di reclusione per una serie di reati gravissimi, tra cui alcuni omicidi, Molè era il reggente di una cosca storica della ‘ndrangheta. I Molè sono stati e sono da sempre gli alleati più fidati dei Piromalli, la famiglia di ‘ndrangheta forse più nota, quella che gestì il passaggio delle cosche in moderna organizzazione criminale, legando gli affari del costruendo porto di Gioia nei primi anni ‘70 al salto di qualità della vecchia onorata società.Sono stati i Molè, per conto di questo patto federativo, a gestire gli affari legati al narcotraffico, in contatto con le cosche del centro e del nord Italia e con i cartelli colombiani.
Non solo, grazie al controllo del porto, i Piromalli-Molè hanno potuto sviluppare ulteriori attività illegali, senza escludere il traffico di armi da Bosnia e Croazia.Rocco Molè, sorvegliato speciale di polizia, terzogenito del vecchio boss Nino Molè, morto due anni fa per cause naturali in carcere, stamani, a bordo di una minicar (di quelle che si guidano senza patente), si stava recando in un terreno agricolo di sua proprietà alla periferia di Gioia Tauro, come faceva quasi tutti i giorni. Due sicari lo hanno affiancato a bordo di una moto, quindi il passeggero ha sparato tre colpi di pistola raggiungendo Molè alla testa. La vettura si è fermata sul ciglio della strada ed i sicari hanno esploso il colpo di grazia.Sul posto sono intervenuti il coordinatore della Dda di Reggio Calabria, Salvatore Boemi, il procuratore di Palmi, Vincenzo Lombardo, il capo della squadra mobile reggina, Renato Cortese, ed il suo vice, Renato Panvino. Subito sono scattate perquisizioni e controlli a pregiudicati ed un controllo capillare del territorio da parte di polizia e carabinieri.
Ma la domanda che si pongono adesso magistrati ed investigatori è una sola. Cosa succederà adesso? A caldo, ha spiegato un investigatore, è difficile fare analisi, ma di certo l’omicidio di Molè “lascia aperta la porta ad ogni scenario, anche inquietante”.In particolare gli scenari presi in esame sono due: o si è trattato di una questione interna, ed allora probabilmente non ci saranno conseguenze, oppure siamo all’inizio di una nuova guerra di mafia. Un rischio che i vertici della Dda avevano ipotizzato lo scorso anno, quando, basandosi su notizie dell’intelligence, evidenziarono il pericolo di “una nuova fase dell’azione del crimine organizzato che nel breve volgere di pochi anni quasi certamente transiterà verso una nuova e totale guerra tra le cosche, pronte a contendersi gli investimenti comunitari, gli investimenti governativi e regionali, e, soprattutto, gli investimenti privati che operatori economici anche esteri hanno già programmato per l’immediato futuro”.È questo lo scenario che si apre adesso a Gioia Tauro e nel reggino? Per saperlo sarà necessario aspettare le prossime settimane perché, spiega un investigatore, “non è possibile toccare il casato Molè senza aspettare una risposta”.

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