sabato 23 febbraio 2008

Il crollo di Cosa Nostra, se non "controllato", può essere un rischio per lo Stato

Probabilmente mai come ora Cosa Nostra è con le spalle al muro. La più potente organizzazione criminale del mondo, dopo i recenti arresti in serie, è stata decimata nei suoi vertici. Ovviamente ciò è una notizia positiva, che però potrebbe comportare alcuni rischi. Il primo è quello di una nuova Guerra di Mafia, per ristabilire le gerarchie di potere, dopo che molti appartenenti alle sfere alte dell'associazione, sono stati arrestati. Dopo le bombe del 1993, la mafia era tornata silente e nel silenzio aveva ricominciato a fare affari. Ora che i vertici sono traballanti, gli affiliati potrebbero scontrarsi duramente, per ottenere una posizione egemone. "La Mafia - come diceva Falcone - è un fatto umano e come ha avuto un inizio, avrà anche una fine". Tutti ci auguriamo che questa fine sia prossima, ma c'è un altro problema, di cui lo Stato dovrà farsi carico. Cosa Nostra infatti, seppure da una posizione di illegalità, mantiene un certo ordine, dall'alto della sua egemonia criminale.

giovedì 21 febbraio 2008

Italia: assolto in appello Gerardo Cuomo, protagonista Ticinogate


La Corte d'appello di Bari ha assolto Gerardo Cuomo, di 62 anni, presunto boss del contrabbando internazionale e protagonista del Ticinogate, accusato di aver preso parte ad un'associazione mafiosa che tra il 1996 e il 2000 avrebbe introdotto in Puglia dal Montenegro mille tonnellate al mese di tabacchi, riciclando denaro in Svizzera. "Il fatto non sussiste", hanno stabilito i giudici.La Corte ha quindi ribaltato la sentenza di primo grado, pronunciata dal tribunale di Bari nel novembre del 2004, che condannava Cuomo a sette anni e quattro mesi di reclusione. In quell'occasione il pubblico ministero inquirente della Divisione distrettuale antimafia di Bari, Giuseppe Scelsi, aveva chiesto la condanna alla pena di dieci anni.Assieme a Cuomo sono stati assolti anche Alexander Hagsteiner, svizzero di 50 anni, ex funzionario della filiale della Banque Nationale de Paris di Lugano (condannato in primo grado a tre anni di reclusione per associazione mafiosa) ed Elio Galli, di 58, di Como (già condannato a due anni e otto mesi per riciclaggio). Pena ridotta a due anni (da quattro anni e otto mesi) per Nedo Caneva, di 46 anni, di Melano.Prima di essere estradato in Italia Cuomo venne condannato il 27 giugno 2001 dalla Corte delle assise correzionali di Lugano a dieci mesi di detenzione con la condizionale e all'espulsione per cinque anni dal territorio svizzero, per complicità in corruzione passiva aggravata, nel processo che aveva avuto per protagonista il giudice Franco Verda.La Corte di cassazione e revisione penale del Tribunale d'appello del Cantone Ticino ridusse il 30 aprile 2002 la pena a sette mesi di detenzione e sospese condizionalmente la sanzione accessoria dell'espulsione per un periodo di prova di due anni, accogliendo parzialmente il ricorso di Cuomo. Il 21 febbraio 2003 il Tribunale federale respinse un ulteriore ricorso del condannato, mettendo in pratica il punto finale al "Ticinogate".Cuomo è stato scagionato perchè " il fatto non sussiste " viene meno quindi il castello accusatorio ed inoltre dovra essere reso tutto il patrimonio confiscato in precedenza ammontante a svariati e svariati milioni di euro.

Mafia: operazione "Secrets business"


Sequestrati beni per un valore complessivo di circa 150 milioni di euro riconducibili a Bernardo Provenzano e al boss Salvatore Lo Piccolo. I poliziotti della sezione misure di prevenzione della questura di Palermo hanno sequestrato beni riconducibili al capo di Cosa nostra Bernardo Provenzano e al boss Salvatore Lo Piccolo per un valore complessivo di circa 150 milioni di euro. I provvedimenti di sequestro sono stati disposti dai giudici del tribunale di Palermo su richiesta del procuratore aggiunto Roberto Scarpinato e del sostituto Gaetano Guardì. L'operazione è stata denominata "secrets business" ed ha portato al sequestro, fra le altre cose, di una serie di ville a San Vito Lo Capo, località di mare del trapanese, e una cava di materiale inerte in provincia di Palermo.Sequestrato un vero e proprio tesoro,come molto spesso viene detto non c'è cosa peggiore per i boss mafiosi che il sequestro dei beni.Un altra operazione riuscita con successo,in questi due anni sono stati inferti durissimi colpi alle varie organizzazioni criminali.

mercoledì 20 febbraio 2008

'Ndrangheta/ L'antimafia: è diventata tentacolare come Al Qaeda


La 'ndrangheta cresce e si espande "alla maniera di al Qaeda, con un'analoga struttura tentacolare priva di una direzione strategica ma caratterizzata da una sorta di intelligenza organica, di una vitalità che è quella delle neoplasie, e munita di una ragione sociale di enorme, temibile affidabilità". E' quanto si legge nella prima relazione annuale sulla 'ndrangheta approvata all'unanimità dalla Commissione parlamentare Antimafia. La 'ndrangheta è "oggi la più robusta e radicata organizzazione, diffusa nell'intera Calabria e ramificata in tutte le regioni del Centro-Nord, in Europa e in altri Paesi stranieri cruciali per le rotte del narcotraffico". Il contagio delle 'ndrine va "da Rosarno all'Australia, da San Luca a Duisburg. Molecole criminali che schizzano, si diffondono e si riproducono nel mondo. Una mafia liquida che si infila dappertutto, riproducendo, in luoghi lontanissimi da quelli in cui è nata, il medesimo antico, elementare ed efficace modello organizzativo. Alla maniera delle grandi catene di fast-food, offre in tutto il mondo, l'identico, riconoscibile, affidabile marchio e lo stesso prodotto criminale".
ANTIMAFIA, NESSUNA DENUNCIA CONFINDUSTRIA CALABRIA- "Dalla Confindustria della Calabria non abbiamo sentito una sola delle parole pronunciate da Confindustria Sicilia". Il presidente della Commissione parlamentare Antimafia, Francesco Forgiane denuncia la scarsa collaborazione degli imprenditori locali sul versante della lotta all'estorsione e all'usura.

RIFIUTI: STOP A DUE IMPIANTI IN CAMPANIA


Non riaprono le vecchie discariche, pericolose e inutilizzabili, si punta sui nuovi siti, già individuati nel decreto del luglio scorso a Savignano Irpino (Avellino), Sant'Arcangelo Trimonte (Benevento) e Terzigno (Napoli) ma i tempi per attrezzarli non sono brevi e si studia l'ipotesi, già emersa ieri, di portare i rifiuti in Germania per compiere un'operazione di liberazione delle strade della Campania dalla spazzatura, con oltre 200 mila tonnellate da rimuovere. Il commissario di governo, Gianni De Gennaro, rivede il piano e esclude la possibilità di riaprire le vecchie discariche di Difesa Grande in Irpinia e di Villaricca, nel Napoletano, per le quali è necessaria invece un'operazione di bonifica. "La gente - dice De Gennaro - aveva ragione". Si esprime così dopo aver chiesto ai tecnici del Genio militare di controllare tutte le discariche sulle quali vi sono inchieste in corso da parte delle Procure. Infiltrazioni di percolato, discariche abusive sottostanti, gravi rischi di crolli sono alcuni degli elementi che rendono impossibile la riapertura dei siti. Non riaprirà nemmeno Lo Uttaro, nel Casertano perche', spiega il commissario, "sono stati avviati accertamenti per conto dell'autorità giudiziaria, cui spetta il compito di valutarne l'esito al termine dei relativi esami". Di sicuro, De Gennaro intende raggiungere l'obiettivo che è quello di ripulire le strade entro la metà di aprile per evitare conseguenze negative dall'arrivo del caldo. "Prosegue con determinazione - è il suo messaggio - l'azione per raggiungere gli obiettivi fissati dal Governo". Ma la strada non sarà facile, come finora sono state tante le difficoltà. A Savignano Irpino, ad esempio, in 3.000 hanno manifestato contro la decisione di realizzare la discarica provinciale in contrada Pustarza e destinata ad accogliere 700 mila tonnellate di rifiuti. In piazza sono scesi i sindaci di diversi comuni dell'Irpinia ma anche della vicina provincia di Foggia. Non sono mancate le tensioni. I tecnici dell'Arpa che si erano recati sul sito per cominciare i carotaggi sono stati messi in fuga dai manifestanti. Domani, comunque, torneranno sul sito. La prossima settimana saranno effettuati i carotaggi nel Sannio a Sant'Arcangelo Trimonte. Anche qui, però, il clima non é affatto positivo. Secondo il sindaco Aldo Giangregorio sul territorio del comune non ci sono aree idonee per ospitare discariche. La situazione resta molto difficile. Scenario drammatico in diverse zone della province dove, in alcuni casi, non si raccolgono rifiuti da terra addirittura da Natale. Ma anche a Napoli crescono le giacenze. I siti di stoccaggio si stanno esaurendo ed occorre trovare nuovi sbocchi ma bisogna farlo al più presto. Continuano i roghi di spazzatura. In questo scenario, gli albergatori della Campania scrivono una lettera all'assessore regionale al Turismo, Domenico De Masi. "Bisogna fare presto", altrimenti c'é il rischio che si arrivi ad una "gran parte di alberghi chiusi o con grosse difficoltà di sopravvivenza".

Rifiuti, Napoli è al collasso. Guerra di discarica in Irpinia


Lunedì 18 febbraio, il vento gelido non ferma i cittadini di Savignano Irpino provincia di Avellino che in mattinata hanno inscenato l'ennesima protesta dei rifiuti in Campania.
È stato organizzato uno scudo umano di 300 persone per ostacolare il passaggio delle trivelle utilizzate per i lavori di sversamento del terreno nell'area del sito in fase di costruzione. «La discarica non s'ha da fare»! I cittadini di Savignano (in realtà è l'unico sito attualmente confermato dal commissario per l'emergenza rifiuti in Campania, Gianni De Gennaro) l'avevano già ribadito nel luglio scorso quando l'area era stata scelta dalla presidenza del Consiglio dei ministri. Croci di legno con le immagini di De Gennaro, Bassolino, Russo Iervolino, De Mita e Alberta De Simone (i principali fautori della discarica) sono state piantate nell'area dove dovrebbe sorgere la discarica. Dopo qualche scontro con i poliziotti (una dozzina i contusi, sette civili e cinque militi) i manifestanti hanno bloccato la linea ferroviaria Caserta-Foggia. Un migliaio di persone ha invaso i binari della stazione di Savignano per tutta la giornata. Numerosi i convogli bloccati a Benevento e Foggia, sostituiti da Trenitalia con servizi di autobus. Tra i manifestanti anche i sindaci della zona e dei vicini comuni della provincia di Foggia. La città di Napoli è al collasso. Sono circa 2.400 le tonnellate di rifiuti in strada, in provincia si arriva a quota 200 mila tonnellate. Ieri due vigili del fuoco sono rimasti feriti mentre tentavano di spegnere un incendio in un cumulo di rifiuti a Melito. A provocarne il ferimento l'esplosione di una bomboletta di vernice mista a materiale infiammabile quale il propano. Uno spiraglio alla risoluzione potrebbe venire dall'accordo raggiunto con la Germania per un piano di smaltimento per il quale occoreranno 4-6 mesi. Sembra che il trasporto della spazzatura campana in Germania costerà ogni giorno allo Stato italiano circa 200mila euro. I rifiuti saranno inviati su nave in Germania, dove verranno bruciati.

martedì 19 febbraio 2008

'Ndrangheta, il superboss Condello.In carcere fuori dalla 'sua' Calabria

Dopo l'arresto di ieri a Reggio, il capo dei capi stamani è stato trasferitoNel covo champagne e pizzini. "Provenzano in confronto era un dilettante"




Era latitante dall'88 dopo essere stato scarcerato con una cauzione di 100 milioni di lireLe prime parole: "Non c'entro niente con queste inchieste e con la guerra di mafia



Cinque minuti prima delle 10 l'elicottero dei carabinieri Agusta Bell 412 è decollato con dentro il boss Pasquale Condello, 58 anni, catturato nella tarda serata di ieri dopo 18 anni di latitanza. "Il supremo" della 'ndrangheta è stato trasferito fuori dalla Calabria. "Non c'entro niente con queste inchieste, con la guerra di mafia e con le nove ordinanze che avete emesso nei miei confronti": sono state le prime parole che il boss indiscusso della 'ndrangheta ha detto ai carabinieri del Ros che lo hanno arrestato nel rione Pellaro, nella zona sud di Reggio Calabria. Condello è apparso in buone condizioni di salute, con baffi e capelli ingrigiti, vestito con un giubbotto nero e pantaloni grigi di marca. I carabinieri hanno avuto l'impressione di avere di fronte un vero capo di 'ndrangheta con una personalità improntata alla "correttezza" che gli deriva dal ruolo in seno alla criminalità organizzata. Gli uomini delle forze dell'ordine hanno trovato un appartamento ben arredato, con mobilio confortevole, ma non di lusso o eccessivo. C'erano generi di conforto di qualità: due bottiglie di champagne francese sul tavolo, cibo e capi d'abbigliamento griffati. "Il supremo" della 'ndrangheta, era latitante dal 1988 dopo essere stato scarcerato dietro pagamento di una cauzione di 100 milioni di lire. All'epoca il boss era stato arrestato per associazione mafiosa, ma uscì dal carcere sfruttando l'istituto, allora in vigore, della scarcerazione per cauzione. Da quel momento Condello aveva fatto perdere ogni traccia. Numerosissimi pizzini sono stati trovati dai carabinieri nell'appartamento dove si nascondeva il superboss, che utilizzava in maniera metodica il sistema della comunicazione scritta con gli affiliati per impartire ordini e dare disposizioni. "Bernardo Provenzano - ha commentato un investigatore - in confronto era un dilettante".
Già durante la fase delle indagini, gli uomini del Ros avevano intercettato alcuni di questi pizzini. Il boss utilizzava una terminologia che i carabinieri stanno cercando di decifrare nel dettaglio, associando ai soprannomi utilizzati da Condello nomi reali di persone, e ad alcune terminologie il vero significato inteso dal boss. Nell'appartamento nel rione Pellaro è stata trovata anche numerosa documentazione adesso al vaglio degli investigatori. Assieme a Condello è stato arrestato anche il proprietario dell'appartamento in cui è stato trovato il boss. Si tratta di Antonino Chillà, cugino di Salvatore Pellegrino, di 66 anni, ucciso in un agguato il 5 luglio dello scorso anno a Gioia Tauro. Pellegrino, conosciuto come "l'uomo mitra", negli anni settanta fu coinvolto in una faida che vide fronteggiarsi le famiglie dei Gioffrè con quella dei Pellegrino. In occasione del funerale di una delle vittime della faida, Pellegrino si presentò armato di una mitra facendo scappare tutti coloro che partecipavano al rito. Da qui il soprannome di "uomo mitra". Insieme a Chillà, accusato di favoreggiamento, nel blitz dei carabinieri, sono stati arrestati anche il nipote del boss, Giandomenico Condello, di 28 anni, ed il genero, Giovanni Barillà, di 30. Questi ultimi due, essendo parenti del latitante, sono accusati di procurata inosservanza di un provvedimento dell'autorità giudiziaria, con l'aggravante di aver agito per agevolare attività di associazione di tipo mafioso.

IL VESCOVO ANTIRACKET

SICILIA MONSIGNOR MICHELE PENNISI DI PIAZZA ARMERINA



Dice che il pizzo è «un’industria del male», educa le coscienze a combattere i boss. Ora è sotto scorta, ma va avanti tranquillo: «Il Signore ci liberi dalla mafia».
Da due settimane monsignor Michele Pennisi, vescovo di Piazza Armerina, è protetto dalle forze dell’ordine. Il vescovado è sorvegliato e, quando lui esce, l’autista telefona al comandante della stazione dei carabinieri per segnalare il movimento.
Un vescovo nel territorio di Caltanissetta, Enna, Gela, «dove il fenomeno del pizzo è molto diffuso, e ancora più preoccupante è che le somme pagate vengano riscosse da esattori minorenni». Un vescovo che teorizza l’incompatibilità tra mafia e vita cristiana, che è cofondatore dell’Associazione antiracket e antiusura della provincia di Enna, che ritiene il pizzo «un’industria del male». Un vescovo che ogni giorno avvicina imprenditori e negozianti nelle sue visite pastorali e riceve lettere con richieste di aiuto.
«Una persona mi ha scritto il suo numero di cellulare "mi chiami per favore". Ha parlato della sua disperazione, del suo essere ostaggio dell’usura. "È disposto a denunciare?", gli ho chiesto, e si è convinto. L’ho messo in contatto anche con la Fondazione antiusura Padre Pino Puglisi di Messina, che ha deliberato un aiuto economico, ma poiché è morto di infarto prima di concludere l’iter, il contributo è stato dato ai suoi figli».

Un altro giorno arrivano due piccoli artigiani terrorizzati: hanno denunciato il pizzo e ora non si sentono sicuri, hanno paura di notte in casa. Ricevono incoraggiamento e un contributo, «grazie al quale abbiamo fatto installare una porta blindata. Ma non tanto per questo siamo grati al vescovo, quanto per il sostegno morale ricevuto».
Un vescovo che considera troppo poco chiedere al Signore «liberaci dal male» e allarga il campo: «Liberaci, Signore, dal pizzo e dalla mafia». E mentre alcuni imprenditori siciliani trovano il coraggio di denunciare e Confindustria espelle chi paga senza denunciare, mentre Cosa nostra subisce arresti e una nuova ondata di pentiti, monsignor Pennisi ribadisce «l’incompatibilità fra mafia e vita cristiana, ma essa sia accompagnata dalla prevenzione dei fenomeni criminosi e dall’aiuto ai mafiosi a pentirsi, a riparare il male fatto e a diventare persone nuove».
Per questo qualcuno ha scaricato da Internet la foto del vescovo e ci ha scritto sotto una didascalia: «Ecco il vero boss di Cosa nostra». Il volantino fa il giro della diocesi, varie copie vengono trovate a Gela, arriva anche sul tavolo di Pennisi, con insulti al vescovo «venduto al potere dei soldi, un uomo di Dio attaccato al denaro». Insulti anche al sindaco e ai magistrati del tribunale di Gela, a componenti della Commissione nazionale antimafia, a deputati regionali, «tutti mafiosi». E fra gli insulti, il cenno al personaggio chiave di tutta la storia: il boss di Gela Daniele Emanuello, ucciso dalla polizia mentre tentava di fuggire il 3 dicembre scorso nelle campagne di Villapriolo, Enna. «Perseguitato insieme con i suoi familiari», così lo descrive il volantino anonimo, «vittima della disoccupazione, ucciso dalla polizia che lo ha fatto passare per mafioso».
Il vescovo viene accusato delle mancate esequie di Emanuello nella chiesa Madre di Gela, come richiedeva la famiglia, sostituite con una celebrazione nella cappella del cimitero. Un diniego, spiegano i suoi collaboratori, «non determinato da atteggiamenti persecutori, ma dalle decisioni delle autorità dello Stato che hanno proibito per motivi di sicurezza la celebrazione pubblica del funerale». Ma quel no al funerale ha dato fastidio: per la mafia un prete deve fare le "cose di chiesa", deve pregare e perdonare, non parteggiare per lo Stato.
La valanga della solidarietà
Il volantino fa il giro della diocesi e il Comitato per l’ordine e la sicurezza di Enna assegna al vescovo «non una scorta armata», precisa dalla segreteria padre Giuseppe Rabita, «ma una forma di sorveglianza discreta». E subito si scatena una sorta di assedio al vescovado, decine di emittenti italiane e straniere, richieste di dichiarazioni e interviste.
La prima solidarietà arriva da Roma, dalla Cei: «Pochi minuti dopo i lanci di agenzie con la notizia dell’intimidazione, telefona monsignor Giuseppe Betori». E poi una folla di sostegni siciliani e nazionali, dalle associazioni degli agricoltori ai ragazzi del gruppo Magnificat di Butera «con le loro famiglie», dal redentorista Nino Fasullo da Palermo alla Dc e al Pdci di Gela e di Enna, dal vaticanista Luigi Accattoli al Partito democratico di Enna, dal sindaco di Gela Rosario Crocetta alla Cgil Sicilia. La Cisl di Enna, i sindaci di Barrafranca, Piazza Armerina, Enna. Solidarietà da Rifondazione comunista a Forza Italia, compresa quella di Giuseppe da Brescia, via mail: «Forza eccellenza, siamo tutti con lei».
Il vescovo va avanti, non rifiuta le interviste, capisce le esigenze di una Tv francese che lo blocca per qualche ora. «Continuo a svolgere la mia opera di formazione delle coscienze al rispetto della legalità, siamo pronti a collaborare con l’Associazione antiracket e antiusura di Gela perché il Signore ci liberi dal pizzo e dalla mafia».

Ndrangheta, arrestato Condello.Il "Provenzano" della Calabria


Il boss sorpreso in un appartamento nel centro di Reggio Calabria conosciuto col nomignolo di "il Supremo", era latitante da 18 anni.
Amato: "Straordinaria operazione contro la criminalità organizzata"
Pasquale Condello, 57 anni, latitante storico della 'ndrangheta calabrese e inserito nell'elenco dei ricercati di "massima pericolosità", è stato arrestato questa sera a Reggio Calabria dai carabinieri, che hanno fatto irruzione nell'abitazione dove si nascondeva, nel quartiere Pellaro. Condello, boss indiscusso dell'omonima cosca, considerato il capo della cupola provinciale, era in compagnia di altre persone la cui posizione è ora al vaglio degli investigatori. Conosciuto col nomignolo di "il Supremo", era ricercato dal 1997. L'attività di ricerca per la cattura di Condello, secondo quanto si è appreso, era stata intensificata nell'ultimo periodo. Dopo l'arresto il boss, scortato da decine di carabinieri, è stato trasferito nella Scuola allievi dell'Arma, dove è giunto anche il coordinatore della Dda reggina, Salvatore Boemi, e dove gli sono stati notificati i provvedimenti restrittivi per i quali era ricercato. "E' l'ennesima straordinaria operazione contro la criminalità organizzata: Pasquale Condello era il boss numero uno della 'ndrangheta, gli investigatori lo definivano il Provenzano della Calabria e come Provenzano è finito anche lui in manette". Così il ministro dell'Interno, Giuliano Amato e il viceministro Marco Minniti hanno commentato l'arresto del latitante. "Per la Calabria e per la lotta alle organizzazioni mafiose - hanno aggiunto Amato e Minniti - è un gran giorno. Perciò ai carabinieri e ai magistrati che hanno realizzato questa operazione con grande professionalità e intelligenza vanno le più sentite congratulazioni e il ringraziamento di tutto il Paese". L'arresto di Condello "è un segnale importante per la lotta alla 'ndrangheta - afferma il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso - e dimostra che anche importanti boss latitanti finiscono in cella".

lunedì 18 febbraio 2008

Domani Libera-Rossomalpelo al Liceo Classico di Arezzo

Domani, Martedì 19 Febbraio, dalle 08.30 in poi al Liceo Classico F. Petrarca di Arezzo sarà proiettato il film Rossomalpelo.
L’obiettivo del progetto Libera-Rossomalpelo ( che vede la partecipazione di Libera, Arci, Cgil e Cisl) è liberare dal lavoro e garantire cibo e scuola a 1000 bambini che vivono nella zona mineraria del Potosì in Bolivia.Tutti i soldi che il film incassa grazie alle proiezione nelle scuole, nelle sale cinematografiche e con la vendita dei diritti tv, vengono versati su un conto speciale presso la Banca Etica.
Il liceo classico di Arezzo ha infatti, nelle settimane passate, promosso una raccolta fondi tra gli studenti e tra i docenti per sostenere il suddetto progetto.La proiezione del film nelle scuole ha lo scopo di sensibilizzare gli studenti rispetto ai problemi dello sfruttamento minorile e soprattutto renderli parte attiva del progetto stesso.Le varie fasi dello sviluppo del progetto verranno documentate per favorire uno scambio di esperienze tra i bambini-minatori e i nostri studenti. Già molte scuole hanno aderito al progetto, tra queste anche la scuola media superiore aretina.Il progetto interessa i comuni di Atocha e Cotagaita nella regione mineraria del Potosi in Bolivia.
Appuntamento, quindi, con il film Rossomalpelo di Pasquale Scimeca, domani mattina al Liceo Classico di Arezzo.
Alla presentazione del film parteciperà anche un esponente nazionale di Libera; Francesco Romizi, coordinatore aretino di Libera e Francesco Agostini del coordinamento di Libera.


Libera Arezzo

domenica 17 febbraio 2008

'NDRANGHETA: GANZER, IMPRESE FORMALMENTE PULITE


"Queste presenze (infiltrazioni mafiose - n.d.r.), che mi preme sottolineare tutta l'arma dei carabinieri e le sue componenti territoriali e specializzate puntano ad individuare, si presentano inizialmente in modo silente e puntano a permeare ad infiltrare il tessuto economico e sociale in modo non appariscente spesso, come in questo caso, acquisendo attivita' imprenditoriali attraverso vari strumenti che sono da quelli di impossessarsi di aziende in crisi o di acquisirle comunque attraverso pressioni estorsive e di utilizzare poi queste stesse imprese formalmente pulite e quindi apparentemente insospettabili per operazioni sempre piu' vaste". E' un altro dei passaggi in cui il generale Giampaolo Ganzer ha ricostruito lo spirito dell'operazione Naos che nella fase finale di stamani ha visto coinvolti in varie regioni oltre 600 uomini dell'arma. "Tutte le cosche della 'ndrangheta che hanno una presenza sui territori interessati a queste realizzazioni - ha aggiunto - vengono interessate per compartecipare con loro imprese, da cui discendono a cascata subappalti forniture eccetera, a queste realizzazioni in modo tale che ci sia una sinergia delittuosa tra le varie componenti e l'utile criminale sia massimizzato". A proposito della metodologia usata, il generale ha spiegato che la fase di realizzazione delle opere anche pubbliche era preceduta da "tradizionali attivita' delittuose di primo settore, quelle cioe' che hanno la funzione di produrre i proventi che poi devono essere reinvestiti nell'attivita' imprenditriale e quindi narcotraffico, estorsioni ed altre attivita' che in fase esecutiva, almeno in questo caso, venivano delegate, e materialmente condotte da gruppi anche di matrice straniera, in particolare albanesi, mentre le imprese controllate direttamente dalla componente mafiosa (per lo piu' la 'ndrangheta - n.d.r.) incameravano questi proventi per reimpiegarli". Queste imprese, ha detto Ganzer "godevano di un duplice vantaggio e cioe' quello di avere in partenza una posizione privilegiata e non concorrenziale rispetto alla normale impresa che deve ricorrere al credito ed un secondo vantaggio dato dal fatto di impiegare nell'esecuzione dei lavori manovalanza sfruttata, clandestina, oltre all'utilizzazione di materiale scadente che richiedera' ulteriori approfondimenti sulla realizzazione in termini tecnici di queste opere".

'NDRANGHETA: GRASSO, I CLAN UTILIZZANO LA POLITICA


"E' un'operazione con parecchi risvolti investigativi. Ci troviamo di fronte ad un tentativo di colonizzazione criminale in una regione come l'Umbria dove si nota un'infiltrazione nell'economia locale sia di elementi della criminalita' campana che di quella calabrese". Cosi' in un'intervista al Giornale Radio di Gr Parlamento, il Procuratore Nazionale Antimafia, Piero Grasso. "Ci sono tutti gli ingredienti - aggiunge Grasso - per far venir fuori uno spaccato del sistema mafioso che cerca di fare soldi e di spacciare stupefacenti in una zona tutto sommato vergine per poi investire i capitali in infrastrutture, acquisizioni di centrali idroelettriche in Calabria che rappresenta l'investimento del futuro o nello sfruttamento della Costa dei Gelsomini, sempre in Calabria, con la previsione di costruire un villaggio turistico o un centro commerciale. Il tutto corredato - prosegue il Procuratore Nazionale - da appalti, subappalti, guardianie. Tutto garantito dall'accordo tra le cosche della 'ndrangheta da una parte e dagli amministratori locali dall'altra che garantivano i finanziamenti ai progetti". Piero Grasso, poi, evidenzia l'interesse sempre maggiore della 'ndrangheta agli appalti pubblici. "Le famiglie mafiose - sottolinea - per poter entrare nel sistema degli appalti pubblici utilizzano tecnici comunali compiacenti e politici locali. Lo scopo e' quello di conoscere ed avere approvati i progetti di finanziamento. In sostanza, la riflessione e' che non si puo' entrare nella imprenditoria criminale senza l'appoggio di questi altri contesti. E in Calabria - specifica Grasso - questo sistema e' particolarmente pregnante". Grasso, infine, parla dell'operazione Naos come di un esempio di cosa significa la lotta alla criminalita' organizzata. "Per debellare la 'ndrangheta occorre la collaborazione di tutti. Questa operazione e' emblematica perche' e' stata possibile grazie all'unione di piu' sinergie. Un plauso, quindi, alla dottoressa Duchini della DDA di Perugia, ai Carabinieri del Ros ed alla DDA di Reggio Calabria".