mercoledì 5 marzo 2008

"Riprendetevi la vostra medaglia"




L'uomo che arrestò Riina è indagato per estorsione:"Voglio andare da Napolitano"


Il maresciallo «Arciere», che partecipò all'arresto di Totò Riina



Voglio personalmente restituire la medaglia di bronzo del Quirinale al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano e anche l’encomio solenne, al Comando Generale dei carabinieri». Due paginette scritte con il pennarello nero; frasi brevi, lungamente meditate. Dove traspare commozione e anche tutta la rabbia del maresciallo dei carabinieri del Nucleo tutela del patrimonio ambientale, Riccardo Ravera, ora indagato dai pm di Torino per concorso in estorsione, assieme a un poliziotto della Stradale, Giuseppe Cavuoti. Nome in codice «Arciere», il maresciallo fu il vice del capitano «Ultimo». Già. Perché l’uomo che oggi vuole strapparsi dal petto la medaglia, mise le manette ai polsi di Totò Riina, la mattina del 15 gennaio 1993, a Palermo. I suoi guai partono da lontano, nella notte del 19 febbraio 2004 quando, dalla palazzina di caccia di Stupinigi, furono rubati decine di mobili antichi. Un vero tesoro, valevano milioni di euro. Un anno dopo, furono ritrovati in un prato. Intatti. E tutta una gang di antiquari-ladroni finì in cella. Merito soprattutto di «Arciere» e del suo collega agente, pure lui destinatario di un encomio solenne, da parte del ministero degli Interni. Complessa indagine, tra stranezze e colpi di scena: l’Ordine Mauriziano aveva denunciato il furto di 38 mobili d’arte. «Arciere» ne fece ritrovare 42. Curiosa differenza, mentre a Stupinigi stavano indagando un po’ tutti, squadra mobile, Digos, Servizi segreti, Ros. E pure gli investigatori privati delle assicurazioni. Dal Mauriziano furono pagati per il riscatto 250 mila euro, con buona pace di molti, perché il valore del bottino era molto superiore. Da qui, parte l’indagine-bis. Un lungo lavoro sul filo del rasoio, quello di «Arciere». Che il procuratore capo della Repubblica di Torino, Marcello Maddalena, in una lettera del 5 dicembre 2005, inviata all’allora comandante generale dell’Arma, generale Luciano Gottardo, definì così: «... Il particolare impegno del maresciallo Ravera... che ha manifestato e dato prova di particolare capacità investigativa, di tenacia, professionalità e di correttezza, dote assolutamente essenziale in un’indagine come questa, avvalendosi della rete confidenziale da lui posseduta e gestita, poneva anche problemi di deontologia e di giusta cautela, nel trattare e valutare gli elementi acquisiti per siffatta via... ». Il vice di «Ultimo» (attualmente in servizio a Roma, al Noe, nucleo operativo ecologico) è amareggiato ma deciso a lottare: «Aspetto sereno le conclusioni dell’inchiesta. Posso solo dire, oggi, che ogni passo fu concordato e condiviso con il comando. Ho moglie e due figli, il mio stipendio è di 1500 euro al mese, ma il maresciallo Ravera, di soldi sporchi, non ne ha mai presi. Neanche un solo cent». Una carriera tormentata, la sua. Dopo la cattura di Riina, la squadra guidata da «Ultimo», non ebbe poi una grande fortuna. Nel ‘99 fu smantellata e tutti i suoi componenti, «Arciere», appunto, «Vichingo», «Nello», «Omar», «Ombra» e «Pirata», furono tutti trasferiti da Palermo. Qualcuno si congedò. E Ravera? Eccolo, alla fine, nella stazione dei carabinieri di Pinerolo, dopo una breve parentesi nei Ros. Tra i protagonisti dell’operazione «Cartagine», contro i narcos della mafia venne di nuovo allontanato. Destino amaro. Contro il suo trasferimento a Pinerolo, si mosse persino la procura di Torino che tentò - invano - di bloccarlo. Ci fu solo un inutile scambio di lettere, ma l’Arma fu irremovibile. Il suo avvocato di fiducia, Loredana Gemelli, è polemica: «Da mesi chiedo che il maresciallo sia interrogato. In cambio, solo silenzio. Le accuse sono false, mosse da un clima velenoso, da rivalità, invidie. Dimostreremo la sua totale innocenza». Echi di polemiche ormai lontane: «Ma il mio vero nome non doveva essere diffuso. Ragioni di sicurezza, di difesa della mia famiglia. Invece, all’improvviso, scopro dai media di essere indagato. Nome e cognome, una vita e una carriera infangate, forse per sempre. In un giorno mio padre è invecchiato di dieci anni».







5 commenti:

Anonimo ha detto...

Che vergogna! Come possiamo noi Italiani trattare così le nostre forze dell'ordine?
Ti siamo vicini Maresciallo Ravera, noi Italiani, quelli, pochi, che ancora credono nella giustizia.

Anonimo ha detto...

Lacrime...
Come agnelli sacrificali portati al macello,ecco cosa sono gli uomini migliori in questo paese oggi! A chi poteva intervenire e non è intervenuto tutto il nostro disprezzo.Oggi tutti gli italiani abbiano disprezzo per loro stessi poichè stanno a guardare senza che una sola voce si alzi. Muore la democrazia, muore la legalità sotto i nostri occhi e voltiamo il viso dall'altra parte.Che le mie lacrime cadano sul suo cuore maresciallo e possano alimentare ancora in Lei speranza nella giustizia. A voi Avvoltoi che vi nutrite delle nostre carni migliori, tutto il mio profondo, profondissimo disprezzo!

Paola

Unknown ha detto...

ma come si fa....scusate sono senza parole...è scandaloso...

blog.mammenellarete.it

Anonimo ha detto...

Praticamente hanno dato l'opportunita' al clan di Riina di trovarlo ed ucciderlo come e quando vogliono ...
Perche'?

Anonimo ha detto...

Ragazzi quello che sta accadendo è sconcertante......viene rimesso in libertà il figlio di totò riina per decorrenza dei termini ed un uomo dello stato uno che ha contribuito ad arrestare il padre del suddetto figlio " liberato " è invece sotto accusa per estorsione.Tipico esempio del fatto che la giustizia in Italia non funziona.Lenta,macchinosa e senza certezza della pena....