martedì 4 marzo 2008

La 'ndrangheta. Storia di una mafia liquida, potente, pericolosa e ben infiltrata nella società


La relazione annuale della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare, un racconto istruttivo e approfondito del peggiore male italiano.

di Francesco Forgione, Presidente della Commissione antimafia

Sono passate da poco le due della notte fra il 14 e il 15 agosto 2007 a Duisburg, nel Nord Reno Westfalia. Sebastiano Strangio, trentanove anni, cuoco, calabrese originario di San Luca, chiude il suo ristorante e, con due camerieri e tre amici, si accinge a tornare a casa. I sei sono appena entrati nelle macchine, parcheggiate a qualche decina di metri dal ristorante, quando vengono raggiunti e stroncati dal fuoco incrociato di due pistole calibro nove. Nel giro di pochi secondi vengono esplosi ben 54 colpi da esecutori spietati e lucidi. Lo testimoniano, fra l'altro le rosate strette sulle fiancate delle macchine, il fatto che, ad azione in corso, i due esecutori abbiano addirittura cambiato i caricatori delle pistole, e il colpo di grazia inflitto con calma e determinazione a tutte le vittime.
Gli assassini scompaiono dopo aver completato il lavoro con i colpi di grazia. Nelle due macchine rimangono i cadaveri di Sebastiano Strangio, Francesco Giorgi (minorenne), Tommaso Venturi (che proprio quella sera aveva festeggiato i diciotto anni), Francesco e Marco Pergola (20 e 22 anni, fratelli, figli di un ex poliziotto del commissariato di Siderno) e Marco Marmo, principale obiettivo dell'inaudita azione di fuoco perché sospettato di essere stato il custode delle armi utilizzate per uccidere, a San Luca il precedente Natale, Maria Strangio, moglie di Giovanni Nirta. Le vittime fanno in vario modo riferimento al clan Pelle-Vottari, in lotta da oltre quindici anni con il clan Nirta-Strangio (non induca in errore il nome del cuoco che, pur chiamandosi Strangio, fa riferimento al clan Pelle Vottari). Con la strage di Ferragosto a Duisburg la Germania e l'Europa scoprono attoniti la micidiale potenza di fuoco e l'enorme potenzialità criminale di una mafia proveniente dalle profondità remote e inaccessibili di un mondo rurale e arcaico. Molte cose colpiscono gli stupefatti investigatori tedeschi e l'immaginario collettivo: la determinazione e la professionalità degli assassini, il numero e l'età dei morti, il fatto che la strage sia stata compiuta nel cuore dell'Europa civilizzata a migliaia di chilometri di distanza da San Luca e un santino bruciato - indicatore inequivoco di una recente affiliazione rituale - trovato in tasca a uno dei giovani assassinati. Parte sotterraneo da San Luca ed erompe a Duisburg un connubio esplosivo fra vendette ancestrali e affari milionari, un misto di faide tribali e di spietata modernità mafiosa, producendo uno shock improvviso e micidiale per l'opinione pubblica e per le autorità tedesche. In realtà, però, i segni premonitori c'erano già tutti da tempo e la strage di Ferragosto è un indicatore tragico e quasi metaforico della sottovalutazione da parte delle autorità tedesche della ‘ndrangheta e del suo grado di penetrazione e radicamento in quel paese, oltre che in Europa e nel resto del mondo. La presenza ‘ndranghetista in Germania risalente già agli anni 70 e 80 (quando a più riprese viene rilevata la presenza delle famiglie Farao di Cirò in provincia di Crotone, dei Mazzaferro di Gioiosa Ionica, delle famiglie di Reggio Calabria, delle storiche famiglie mafiose originarie di Africo, di San Luca, di Bova Marina e di Oppido Mamertina) era ben nota alle autorità tedesche anche solo per le richieste di assistenza giudiziaria e investigativa della magistratura e delle forze di polizia italiane. Già nel 2001 l'indagine dei Carabinieri convenzionalmente denominata Luca's aveva poi segnalato, anche alle autorità tedesche, il ristorante "Da Bruno" davanti al quale si è verificata la strage, e in generale, il cospicuo fenomeno del riciclaggio di denaro sporco nel settore della ristorazione, in quel paese. La segnalazione non aveva prodotto concreti risultati investigativi, e la percezione che si ricava da questo scarso riscontro (a parte le carenze della legislazione tedesca in materia di repressione del riciclaggio e, più in generale, di aggressione dei patrimoni illeciti) è che l'atteggiamento delle autorità tedesche fosse di rimozione del problema, considerato, in modo più o meno inconsapevole, affare altrui. Affare degli italiani. Affare nostro. La strage di Duisburg, come una metafora, spiega meglio di ogni discorso, meglio di ogni analisi, meglio di ogni riflessione, che il modello di crimine globale, rappresentato dalla ‘ndrangheta, non è (solo) affare nostro. Il 15 agosto ha rotto un tabù, ma chi fosse stato attento ai segnali, agli indizi, alle crepe, avrebbe potuto dire anche prima che era solo questione di tempo. La strage di Duisburg è stata come un geiser. Uno zampillo ribollente e micidiale che da una fessura del suolo ha scagliato verso l'alto, finalmente visibile a tutti, il liquido miasmatico e pericolosissimo di una criminalità che partendo dalle profondità più remote della Calabria, si era da tempo diffusa ovunque nel sottosuolo oscuro della globalizzazione. La crepa nella superficie in questo caso viene da lontano. Da un altrove inquietante e nascosto, lontano nello spazio e lontano nel tempo.
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Questo altrove è San Luca, località strategica nella storia e nell'attualità della ‘ndrangheta, luogo cruciale per il controllo dei traffici di droga che producono enormi profitti e sede altresì di una lunga e sanguinosa faida che vede lo scontro fra due gruppi famigliari dell'aristocrazia mafiosa calabrese. I Nirta-Strangio (principi del narcotraffico con basi in Olanda, Germania e oltreoceano) da un lato e Vottari-Pelle-Romeo (il cui capobastone, 'Ntoni Pelle negli anni passati era stato designato, al santuario della Madonna di Polsi, capo crimine, cioè reggente e garante di tutta la ‘ndrangheta secondo il modello organizzativo federale elaborato dopo la guerra-pace del 91), dall'altro. La faida nasce per un motivo banale, per una bravata di giovinastri finita in tragedia. È una sera di carnevale del 1991, un gruppo di ragazzi vicini alla famiglia Strangio prende a bersagliare con uova marce il circolo ricreativo di Domenico Pelle, facendosi beffe delle proteste e delle imprecazioni del titolare. L'offesa non rimane impuntita e la sera di San Valentino due giovani della famiglia Strangio vengono uccisi, altri due feriti. Da quel momento gli anni 90 vengono segnati da un'impressionante sequenza di attentati e uccisioni che colpiscono ora l'una, ora l'altra parte in conflitto. La faida culmina nell'omicidio del Natale 2006 quando un gruppo di killer armati di pistole e fucili uccide Maria Strangio moglie di Giovanni Nirta. Seguono altri omicidi, latitanze volontarie (per sfuggire alla vendetta altrui o per preparare più agevolmente la propria), scosse sempre più intense e pericolose che preludono alla mattanza di Ferragosto. (...) Le indagini, finalmente coordinate, delle autorità italiane e tedesche, consentono ben presto di verificare l'ipotesi investigativa formulata subito dopo il fatto. Responsabili della strage sono infatti appartenenti alla cosca Nirta-Strangio, e personaggio chiave dell'eccidio è una figura paradigmatica della ‘ndrangheta del terzo millennio, in perfetto equilibrio fra tradizione e modernità: Giovanni Strangio. Si tratta di un imprenditore della ristorazione in Germania (titolare di due ristoranti a Kaarst), è poliglotta, si muove con estrema disinvoltura sull'asse italo tedesco e fino al dicembre 2006 (quando, in occasione dei funerali di Maria Strangio, viene arrestato dalla Polizia per detenzione di una pistola) era sostanzialmente incensurato. Che un soggetto con queste caratteristiche (e, lo si ripete, con un curriculum criminale pressoché inesistente), chiaramente dedito al segmento affaristico dell'attività criminale sia diventato uno dei ricercati più importanti d'Italia e d'Europa per la partecipazione ad un'azione di sterminio eclatante e senza precedenti, dà un'idea efficace della posta in gioco per le cosche di San Luca. È così che una sanguinosa faida d'Aspromonte porta all'attenzione dell'Europa e del mondo una mafia con caratteristiche singolari e apparentemente contraddittorie. Un modello criminale caratterizzato da impreviste e sorprendenti analogie con altri fenomeni della postmodernità. Un paradossale paradigma per gli studiosi moderni del concetto di efficacia.
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Riflettere brevemente sul significato della parola ‘ndrangheta non è un mero esercizio accademico e offre invece interessanti spunti di riflessione e analisi storica. L'ipotesi etimologica più convincente fa riferimento al vocabolo greco andragatia il cui significato allude alle virtù virili, al coraggio, alla rettitudine. L'andragatia è la qualità dell'uomo coraggioso, retto e meritevole di rispetto e la ‘ndrangheta storicamente ha sempre cercato il consenso presentandosi come portatrice di questi valori popolari e in particolare di un sentimento di giustizia e ordine sociale che i poteri legali non erano in grado di assicurare, in ciò manipolando strumentalmente la sfiducia delle popolazioni nei confronti dello Stato e delle Istituzioni. Quello che è chiaro, sin dai primi anni dello sviluppo della ‘ndrangheta, è che essa non è un'organizzazione di povera gente ma una struttura (composta da soggetti che si autodefiniscono portatori di virtù altamente positive) molto più complessa e dinamica, che, pur se in modo autoreferenziale, si considera un'elite e che tende all'occupazione delle gerarchie superiori della scala sociale. Il principale punto di forza della ‘ndrangheta è nella valorizzazione criminale dei legami familiari. La struttura molecolare di base è costituita dalla famiglia naturale del capobastone; essa è l'asse portante attorno a cui ruota la struttura interna della ‘ndrina. È in ciò, la più importante ragione del successo della ‘ndrangheta, della sua straordinaria vitalità attuale, della sua superiorità rispetto ad altre forme di aggregazione criminale. Storicamente ogni ‘ndrina familiare era autonoma e sovrana nel proprio territorio (di regola corrispondente al comune di residenza del capobastone), a meno che non ci fossero altre famiglie ‘ndranghetiste. In tal caso si operava una divisione rigida del territorio e nei comuni più grandi dove c'erano più ‘ndrine la coabitazione era regolata dal ‘locale', una sorta di struttura comunale all'interno della quale trovavano compensazione le esigenze, anche contrastanti, delle diverse famiglie. È bene precisare che non c'è mai stata una struttura di vertice della ‘ndrangheta calabrese paragonabile a quella della Commissione di Cosa Nostra e fu solo nel 1991 che, per superare un conflitto che aveva generato diverse centinaia di omicidi, fu costituita una struttura unitaria di coordinamento. (...)
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Oggi la ‘ndrangheta, la mafia rurale e selvaggia dei sequestri di persona, è l'organizzazione più moderna, la più potente sul piano del traffico di cocaina (mediando fra le due rotte, quella africana e quella colombiana), quella capace di procurarsi e procurare micidiali armi da guerra e di distruzione, la più stabilmente radicata nelle regioni del centro e del nord Italia oltre che in numerosi paesi stranieri. In tutte queste realtà operano attivamente delle ‘ndrine che, a partire dagli anni 60 e ancor prima - gli anni trenta per quanto riguarda il Canada e l'Australia - si erano spostate dalla Calabria per spargersi letteralmente in tutto il mondo. Gli ‘ndranghetisti arrivarono in questi nuovi territori dapprima al seguito degli emigrati, ma poi, e sempre più spesso, in seguito ad un'esplicita scelta di politica mafiosa di vera e propria colonizzazione criminale. La ‘ndrangheta affronta le sfide della globalizzazione con una modernissima utilizzazione di antichi schemi, con una combinazione di strutture familiari arcaiche e di un'organizzazione reticolare, modulare o - per usare l'espressione di un grande studioso della modernità e della post modernità, Zygmunt Bauman - liquida.

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