domenica 9 marzo 2008

Rifiuti: benvenuti all'inferno


La presenza in Campania di oltre 2.500 discariche, presenti da decenni, zeppe di rifiuti tossici industriali d’ogni genere evidenziano il dramma che gli abitanti di questa terra vivono e che assume sempre più le sembianze di una vera e propria apocalisse. Discariche su tutto il territorio, in particolare nelle zone della Terra dei Fuochi, nei comuni di Giugliano in Campania, Qualiano, Villaricca e del Triangolo della Morte, in quelli di Acerra, Marigliano, Nola, dove sono confluiti, grazie ad accordi intercorsi tra imprenditori senza scrupoli ed emissari della camorra, i rifiuti industriali del nord Italia. La regione trasformata, grazie alla compiacenza di una classe politica ed amministrativa, nazionale ed autoctona, inadempiente, incapace, a volte corrotta e collusa, nella più grande pattumiera a cielo aperto del sud Europa. Questo è l’aspetto più spinoso da affrontare sul territorio, i cumuli di monnezza e le tonnellate di metri cubi di percolato nerastro e velenoso che hanno infiltrato la falda acquifera risultano, ironia della sorte, essere un problema di secondo piano a fronte dello sversamento per anni sul terreno, nei fiumi, nei tombini aperti col piede di porco e quindi nelle fogne, nei campi di tonnellate di amianto, cobalto, alluminio, arsenico, milioni di quintali di sostanze tossiche e proibite. Le bonifiche, promesse e mai avvenute ed il passare del tempo hanno devastato, collassandolo, un territorio di pregiatissimo valore agricolo che prima viveva di primizie, di falanghina e turismo e sfiancato le popolazioni costrette a fare i conti con la diossina, i metalli pesanti, i fenoli e i pcb, con conseguenze imprevedibili e disastrose per loro la salute. Poche, ma autorevoli voci hanno denunciato con forza questo pericolo. Una di queste è quella del dott.Antonio Marfella, medico napoletano che esercita la sua professione presso l’istituto napoletano per i tumori Pascale. Il dott.Marfella, si è interessato dei pericoli derivanti dall’elevata percentuale di presenza nell’aria, ma anche negli alimenti, della diossina, sostanza che svolge un ruolo non secondario nell’insorgere di varie patologie: disturbi endocrini, disfunzioni del metabolismo, endometriosi, fino all’Alzheimer e al cancro. Per dare corpo e consistenza alla sua denuncia, il dottor Marfella si è sottoposto, a sue spese, ai test che rilevano i livelli di diossina nel corpo umano. Si è dunque rivolto al Consorzio Interuniversi-tario Nazionale La Chimica per l’Ambiente, che ha sede a Porto Marghera, e, per le controanalisi, ai Pacific Rim Laboratories, in Canada. Gli strumenti hanno riscontrato 74 pico-grammi di diossina per grammo, oltre 7 volte il livello base di riferimento in città industriali, che è di 10 pico-grammi per grammo. Per dare un’idea precisa del fenomeno ed una valida proporzione comparativa, basta ricordare i numeri della sciagura di Seveso. Il territorio fu suddiviso in due zone: la zona “A”, molto contaminata, e la zona “B”, poco contaminata. In zona “B” fu misurata una concentrazione massima di 39 pico-grammi, in zona “A” furono raggiunti e spesso superati i 50 pico-grammi, sempre per grammo di terreno. Al Dottor Marfella, come detto, sono stati rilevati 74 pico-grammi di diossina per grammo. Ed il dato sconvolgente di questa preoccupante situazione è quello che risalta nei valori delle analisi del dott. Marfella, che vive e lavora nel centro storico della città di Napoli. Questi valori risultano ben più alti rispetto a quelli che gli stessi laboratori hanno riscontrato negli organismi di Giampiero Angeli, che risiede a Castelvolturno, in pieno litorale Domitio, a mezzo chilometro dal luogo in cui, come numerose inchiesta hanno nel tempo accertato, sono stati illegalmente sversati e sepolti i fanghi tossici provenienti dagli impianti industriali di Porto Marghera e di Mario Cannavacciuolo, di Acerra, zona avvelenata dagli sversamenti abusivi di diossina effettuati dalla Pellini e dagli scarichi incontrollati della Enichem. Agli altri due uomini cavia che si sono sottoposti all’indagine, sono stati riscontrati 45 pico-grammi per grammo nel primo caso, 47 pico-grammi nel secondo caso. Gli esperti della Protezione Civile suddivisero I comuni campani per classi di rischio e la città di Napoli fu inserita nella fascia ad allarme meno elevato per l’evidente motivo che chi vive in città, non coabita con discariche illegali, come chi risieda ad Acerra, a Giugliano, a Villaricca o a Castelvolturno. Come si spiega, quindi, l’apparente contraddizione che si evidenzia dai risultati delle analisi?E’ lo stesso Marfella che fa chiarezza: “Stiamo parlando di una sostanza liposolubile e persistente, assunta per il 90% tramite la catena alimentare. Napoli si approvvigiona di frutta e verdura esattamente in quelle zone, un tempo agricole, prescelte dalle ecomafie per sversare i rifiuti o dove sono state aperte discariche legali e mal gestite”. E ancora: “Che la diossina ci arrivi direttamente in tavola, lo si poteva immaginare. Le mie analisi non fanno che dare sostegno a questa ipotesi”. “Urgono - conclude - interventi radicali”, in quanto “l’emergenza non è ormai solo di chi vive ad un passo dagli sversatoi, ma anche di chi consuma i prodotti coltivati nei campi limitrofi alle discariche illegali, a quelle mai bonificate e a quelle utilizzate dalle ecomafie”.Emblematico e preoccupante rilevare che, a tutt’oggi, non un solo laboratorio è presente sul territorio per testare la diossina nell’ambiente e nell’uomo.

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