Salvatore Inzerillo, ucciso a Palermo il 10 maggio 1981
Operazione "Old bridge": blitz congiunto polizia-Fbi dall'una e dall'altra parte dell'OceanoDue anni d'indagini: nel mirino le famiglie Inzerillo, Gambino, Di Maggio
E' la vecchia mafia sconfitta dai corleonesi che cercava di rialzare la testaAffari enormi e nuovi per riconquistare i territori e il potere perduti
E' la più grande retata antimafia dai tempi della "Pizza Connection". I boss di Palermo e quelli di New York, la "famiglia" Inzerillo e la "famiglia" Gambino, un attacco a Cosa Nostra che da una parte all'altra dell'Atlantico stava prepotentemente tornando sulla scena mondiale dei grandi traffici. Nella notte sono state eseguite 77 delle 90 ordinanze di custodia cautelare: sono tutti gli eredi degli storici "Don" siculo-americani. Trenta li hanno catturati nelle borgate palermitane di Passo di Rigano, di Cruillas, di Boccadifalco, nei paesi di Torretta e di Carini. Gli altri li hanno presi a Cherry Hill e a Brooklyn. E' un'operazione che la polizia italiana e il Federal Bureau of Investigation hanno chiamato in codice. "Old bridge".
Questa retata è comunque solo l'inizio di una più vasta iniziativa anticrimine pianificata fra Italia e Usa, il primo degli assalti alle "famiglie" della Cosa Nostra di New York. Da almeno due anni gli investigatori erano sulle tracce dei Padrini americani alleati degli Inzerillo, dei Mannino, dei Di Maggio e dei Gambino. Li hanno seguiti giorno dopo giorno, ascoltati con le microspie, filmati nei loro spostamenti. Hanno scoperto le loro società e i loro nuovi affari. Soprattutto hanno scoperto un patto fra "siciliani" e "americani" dopo più di due decenni di dominio mafioso corleonese. Una strategia di ristrutturazione di Cosa Nostra che puntava "all'antico".
Così le tradizionali consorterie criminali volevano ritrovare nuove opportunità e nuovi mercati dopo l'èra di Totò Riina. Così gli "scappati" - i mafiosi sfuggiti alla morte nella guerra fra cosche degli Anni Ottanta - volevano riconquistare territori. Erano tornati tutti nelle loro borgate di Palermo, erano pronti a riprendersi tutto. Sono personaggi importanti quelli scivolati nell'indagine della polizia italiana e dell'Fbi, le ordinanze di custodia cautelare sono state firmate a Palermo dai procuratori Giuseppe Pignatone, Maurizio De Lucia, Domenico Gozo, Roberta Buzzolani, Michele Prestipino, Nino Di Matteo e Guido Lo Forte; a New York i mandati di arresto sono stati ordinati dal procuratore distrettuale. Il primo nome è quello di Francesco Paolo Augusto Calì, meglio conosciuto a Brooklyn come Frank o Franky Boy. E' considerato l'"ambasciatore" di Cosa Nostra americana nell'impresa di mettere ordine nei rapporti con le "famiglie" di Palermo. Sin dalla fine del 2003 molti mafiosi siciliani sono volati dall'Italia a New York per incontrarlo, per fare business, per riferire proprio a Franky Boy come andavano le cose in Sicilia. Da più di dieci anni Franky Boy è un "wiseguy", un uomo d'onore della "famiglia" Gambino. Ci sono due collaboratori dell'Fbi - uno è Frank Fappiano e l'altro Micheal Di Leonardo - che ai poliziotti americani hanno rivelato tutte le attività di Frank Calì all'interno dell'organizzazione dei Gambino d'America. "Frank è amico nostro, è il tutto di là", confidava in una telefonata il mafioso Gianni Nicchi - uno degli uomini d'onore siciliani che hanno fatto la spola fra Palermo e gli States per un commercio di stupefacenti - al suo capomandamento Antonino Rotolo. Era chiaro che "è il tutto di là" voleva dire che era Frank a comandare a New York. Se "di là" è stato arrestato l'"ambasciatore" della Cosa Nostra americana, a Palermo è finito nell'inchiesta Giovanni Inzerillo, il figlio secondogenito di Totuccio, uno dei grandi capimafia siciliani prima dell'avvento dei Corleonesi. Giovanni Inzerillo fa l'imprenditore edile come ufficialmente lo era anche il padre, ha 36 anni, secondo gli investigatori ha "debuttato" in Cosa Nostra in un summit tenuto l'11 agosto del 2003 al ristorante "Al Vecchio Mulino" di Torretta, un paesino a una ventina di chilometri da Palermo sulla strada provinciale che porta a Trapani. Quel giorno, al "Vecchio Mulino", si riunirono una quindicina di mafiosi - c'erano anche il cugino Giuseppe Inzerillo e gli zii Giovanni Angelo Mannino e Calogero Mannino - per discutere il loro gran rientro nella Cosa Nostra palermitana. Qualche mese dopo a Giovanni Inzerillo fu affidato il compito di accompagnare il vecchio boss Filippo Casamento prima a Toronto e poi a New York, un viaggio di affari per incontrare in Canada uomini d'onore di origine italiana come Michele Modica e Michele Marrese. E' Filippo Casamento un altro dei mafiosi coinvolti nel blitz di questa notte. Già sottocapo della "famiglia" di Boccadiflaco (prima che i Corleonesi prendessero il potere) e fra gli organizzatori dei traffici della "Pizza Connection", Filippo Casamento è fra i protagonisti del ritorno in Sicilia degli Inzerillo. E' stato lui a "garantire" per gli eredi di quelli che erano una volta i padroni di Passo di Rigano. L'inchiesta sugli Inzerillo e sui Gambino per il momento non spiega fino in fondo cosa è accaduto negli ultimi mesi nella mafia siciliana e in quella del New Jersey, ma di certo rivela che il "piano" degli Inzerillo di riconquistare Palermo è fallito. I boss della mafia storica siculo-americana sono stati fermati proprio mentre si stavano riorganizzando. Anche loro stessi avevano intuito che non sarebbero andati molto lontano. E' stata una microspia a svelare le loro paure. Era il 30 agosto del 2007 quando Giovanni Inzerillo e suo cugino Giuseppe erano andati insieme a trovare in carcere lo zio Francesco, rinchiuso nella casa circondariale di Torino. Si sono salutati, hanno cominciato a fare commenti sul loro "ritorno" a Palermo già raccontato dai giornali italiani, hanno manifestato tutte le loro paure. Ogni loro frase è stata registrata. Ecco lo sfogo di Francesco Inzerillo ai suoi due nipoti in visita al carcere di Torino: "Qua c'è solo da andare via e basta.. se non fai niente devi pagare, se fai devi pagare per dieci volte.. Bisogna andarsene dall'Europa, non dall'Italia, dovete andare via dall'Europa perché non si può più stare, qua futuro non ce n'è, sei sempre sotto controllo, è tutta una catena e una catenella, bisogna andarsene in Sud America... basta essere incriminato per l'articolo 416 bis e automaticamente scatta il sequestro dei beni. Cosa più brutta della confisca dei beni non c'è".
Così le tradizionali consorterie criminali volevano ritrovare nuove opportunità e nuovi mercati dopo l'èra di Totò Riina. Così gli "scappati" - i mafiosi sfuggiti alla morte nella guerra fra cosche degli Anni Ottanta - volevano riconquistare territori. Erano tornati tutti nelle loro borgate di Palermo, erano pronti a riprendersi tutto. Sono personaggi importanti quelli scivolati nell'indagine della polizia italiana e dell'Fbi, le ordinanze di custodia cautelare sono state firmate a Palermo dai procuratori Giuseppe Pignatone, Maurizio De Lucia, Domenico Gozo, Roberta Buzzolani, Michele Prestipino, Nino Di Matteo e Guido Lo Forte; a New York i mandati di arresto sono stati ordinati dal procuratore distrettuale. Il primo nome è quello di Francesco Paolo Augusto Calì, meglio conosciuto a Brooklyn come Frank o Franky Boy. E' considerato l'"ambasciatore" di Cosa Nostra americana nell'impresa di mettere ordine nei rapporti con le "famiglie" di Palermo. Sin dalla fine del 2003 molti mafiosi siciliani sono volati dall'Italia a New York per incontrarlo, per fare business, per riferire proprio a Franky Boy come andavano le cose in Sicilia. Da più di dieci anni Franky Boy è un "wiseguy", un uomo d'onore della "famiglia" Gambino. Ci sono due collaboratori dell'Fbi - uno è Frank Fappiano e l'altro Micheal Di Leonardo - che ai poliziotti americani hanno rivelato tutte le attività di Frank Calì all'interno dell'organizzazione dei Gambino d'America. "Frank è amico nostro, è il tutto di là", confidava in una telefonata il mafioso Gianni Nicchi - uno degli uomini d'onore siciliani che hanno fatto la spola fra Palermo e gli States per un commercio di stupefacenti - al suo capomandamento Antonino Rotolo. Era chiaro che "è il tutto di là" voleva dire che era Frank a comandare a New York. Se "di là" è stato arrestato l'"ambasciatore" della Cosa Nostra americana, a Palermo è finito nell'inchiesta Giovanni Inzerillo, il figlio secondogenito di Totuccio, uno dei grandi capimafia siciliani prima dell'avvento dei Corleonesi. Giovanni Inzerillo fa l'imprenditore edile come ufficialmente lo era anche il padre, ha 36 anni, secondo gli investigatori ha "debuttato" in Cosa Nostra in un summit tenuto l'11 agosto del 2003 al ristorante "Al Vecchio Mulino" di Torretta, un paesino a una ventina di chilometri da Palermo sulla strada provinciale che porta a Trapani. Quel giorno, al "Vecchio Mulino", si riunirono una quindicina di mafiosi - c'erano anche il cugino Giuseppe Inzerillo e gli zii Giovanni Angelo Mannino e Calogero Mannino - per discutere il loro gran rientro nella Cosa Nostra palermitana. Qualche mese dopo a Giovanni Inzerillo fu affidato il compito di accompagnare il vecchio boss Filippo Casamento prima a Toronto e poi a New York, un viaggio di affari per incontrare in Canada uomini d'onore di origine italiana come Michele Modica e Michele Marrese. E' Filippo Casamento un altro dei mafiosi coinvolti nel blitz di questa notte. Già sottocapo della "famiglia" di Boccadiflaco (prima che i Corleonesi prendessero il potere) e fra gli organizzatori dei traffici della "Pizza Connection", Filippo Casamento è fra i protagonisti del ritorno in Sicilia degli Inzerillo. E' stato lui a "garantire" per gli eredi di quelli che erano una volta i padroni di Passo di Rigano. L'inchiesta sugli Inzerillo e sui Gambino per il momento non spiega fino in fondo cosa è accaduto negli ultimi mesi nella mafia siciliana e in quella del New Jersey, ma di certo rivela che il "piano" degli Inzerillo di riconquistare Palermo è fallito. I boss della mafia storica siculo-americana sono stati fermati proprio mentre si stavano riorganizzando. Anche loro stessi avevano intuito che non sarebbero andati molto lontano. E' stata una microspia a svelare le loro paure. Era il 30 agosto del 2007 quando Giovanni Inzerillo e suo cugino Giuseppe erano andati insieme a trovare in carcere lo zio Francesco, rinchiuso nella casa circondariale di Torino. Si sono salutati, hanno cominciato a fare commenti sul loro "ritorno" a Palermo già raccontato dai giornali italiani, hanno manifestato tutte le loro paure. Ogni loro frase è stata registrata. Ecco lo sfogo di Francesco Inzerillo ai suoi due nipoti in visita al carcere di Torino: "Qua c'è solo da andare via e basta.. se non fai niente devi pagare, se fai devi pagare per dieci volte.. Bisogna andarsene dall'Europa, non dall'Italia, dovete andare via dall'Europa perché non si può più stare, qua futuro non ce n'è, sei sempre sotto controllo, è tutta una catena e una catenella, bisogna andarsene in Sud America... basta essere incriminato per l'articolo 416 bis e automaticamente scatta il sequestro dei beni. Cosa più brutta della confisca dei beni non c'è".
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