sabato 9 febbraio 2008

Mafia: sventato un attentato contro il sindaco di Gela


La famiglia gelese di Cosa Nostra voleva uccidere il sindaco Crocetta. Lo hanno accertato la polizia e la direzione distrettuale antimafia, nel corso di serrate indagini su elementi delle cosche di Gela. Il piano stava per essere preparato nei minimi dettagli. Lo hanno sventato gli agenti della “squadra catturandi” della questura nissena, durante le indagini riguardanti la cattura di Daniele Emmanuello, il boss di Cosa Nostra ucciso, il 3 dicembre dello scorso anno, dalla polizia, che lo ha colpito mentre tentava di fuggire dal covo in cui si nascondeva, nelle campagne di Enna . In particolare, gli investigatori avrebbero intercettato alcune telefonate di personaggi sospetti, subito dopo la morte di Emmanuello. Tra gli inquirenti più impegnati in questa indagine c’è il sostituto procuratore Nicolò Marino, che, raggiunto telefonicamente, non ha inteso rivelare le modalità di esecuzione studiate dai malviventi per l’agguato programmato. Ha semplicemente confermato l’esistenza del piano, per averlo accertato tramite intercettazioni telefoniche e per averlo dedotto da un attento studio dei pizzini rinvenuti nel covo di Daniele Emmanuello. La notizia, lanciata dall’agenzia Ansa, intorno a mezzogiorno, ha suscitato clamore. Contrariato il sindaco, Crocetta, che avrebbe preferito non si sapesse in giro di questo grave episodio. Crocetta era già a conoscenza dello sventato agguato perchè era stato informato dalla DDA e dalla prefettura, che su di lui ha potenziato il servizio di vigilanza. Non è la prima volta che la mafia tenta di uccidere il sindaco, Crocetta. Già nel 2003, la polizia scoprì che la “Stidda” stava preparando un agguato, utilizzando un killer venuto dalla Lituania, Minius Marius Denisenko, che avrebbe dovuto uccidere il sindaco durante la processione dell’Immacolata, l’8 di dicembre. Ma non c’erano prove sufficienti. Il lituano fu rimpatriato con provvedimento della questura, mentre al sindaco fu assegnata la scorta. Alcuni mesi dopo scatto l’operazione antimafia, Imperium, con una ventina di arresti. Da allora, Crocetta ha ricevuto una serie infinita di minacce e di intimidazioni. Davanti al municipio fu rinvenuto un coltello nascosto dietro uno dei tubi di scarico dell’acqua piovana, vicino all’ingresso secondario, utilizzato dal sindaco. In un’altra circostanza, fu trovata forzata la porta del terrazzo sovrastante gli uffici del sindaco, a palazzo di città. Nello scorso anno, una lettera di sedicenti NAR (nuclei armati rivoluzionari) pervenne al corrispondente Ansa di Gela con evidenti minacce per Crocetta. Al sindaco di Gela è stata rafforzata la scorta.

venerdì 8 febbraio 2008

'Ndrangheta, controlli a San Luca


Si cercano latitanti, scoperti bunker

I carabinieri del Ros e del comando provinciale di Reggio Calabria stanno effettuando numerosi controlli a San Luca, nel Reggino, per la ricerca di latitanti e di luoghi dove si nascondono. L'indagine nasce nell'ambito della faida di San Luca che vede contrapporsi le famiglie dei Nirta-Strangio contro Pelle-Vottari. Nel corso delle ricerche i carabinieri hanno già trovato alcuni bunker in una zona del centro abitato del paese.
Un primo rifugio è stato scoperto nel pieno centro di San Luca, ricavato in un sottoscala. Un altro è stato individuato poco distante dal primo. Già a fine agosto, dopo la mattanza di Duisburg dove furono uccisi sei italiani originari di San Luca, 32 presunti affiliati alle cosche coinvolte nella faida locale vennero fermati nell'ambito di una maxi-retata di polizia e carabinieri. La scoperta del primo bunker è stata fatta in casa di un familiare di Francesco e Giuseppe Nirta, ricercati nell'ambito di una inchiesta sulle faide calabresi. Il proprietario dell'abitazione e i due latitanti, secondo quanto si è appreso, avrebbero rapporti di parentela con Giovanni Strangio, a sua volta ricercato da alcuni mesi perché ritenuto uno degli autori della strage in Germania.Il bunker è stato realizzato in una delle stanze della casa. L'accesso era nascosto da una parte correvole. Nella piccola struttura, di tre metri per quattro, i carabinieri hanno trovato materiale che verrà analizzato.

Gela, pronto attentato a sindaco


Scoperto il piano delle cosche

Tutto era pronto per uccidere con un attentato il sindaco di Gela, Rosario Crocetta (Pdci). La notizia è emersa durante indagini condotte dalla Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta. I magistrati hanno accertato dell'esistenza del piano da intercettazioni effettuate negli ultimi mesi nei confronti di esponenti di cosche della zona. Subito informato il prefetto e il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica.
Crocetta che si era apertamente schierato contro la mafia e il clan Emmanuello licenziando perfino la moglie del boss dal comune.
Il capo del clan, Daniele Emmanuello, è stato ucciso il 3 dicembre scorso mentre tentava di sfuggire alla cattura nelle campagne dell'ennese.
Il progetto di attentato è emerso da un'intercettazione, effettuata dalla squadra mobile di Caltanissetta nell'ambito delle indagini sulla cosca gelese e col ritrovamento di alcuni "pizzini". L'inchiesta è stata coordinata dal procuratore aggiunto, Renato Di Natale, e dal pm della Direzione distrettuale antimafia, Nicolò Marino.
Crocetta: "Continuerò la mia battaglia"''Ho incontrato il prefetto e i magistrati della Dda che mi hanno parlato di questo piano della cosca Emmanuello per uccidermi. E' il mio compleanno, compio 57 anni, e proprio in questa giornata apprendo una simile notizia. Davvero un bel regalo della mafia''. ''Gela è stata la capofila - ha aggiunto - di un prcesso di rottura dei vecchi schemi in cui politica e mafia andavano a braccetto ed ha cominciato la lotta al racket delle estorsioni. Io continuerò la mia battaglia come ho sempre fatto''. ''E' allucinante. Fare il proprio dovere e sapere di essere nel mirino della mafia e una cosa impensabile. E' da cinque anni che vivo scortato con la paura per me e gli uomini che mi proteggono'', ha aggiunto.
A nome del Coordinamento di Libera Arezzo voglio esprimere totale solidarietà nei Confronti di Rosario e nei confronti degli uomini che compongono la sua scorta.

MAFIA/ AMATO: OGGI DUE GRANDI SUCCESSI CONTRO CRIMINE ORGANIZZATO


Con arresto boss camorra Licciardi e operazione 'Old Bridge'
"La giornata di oggi ha coronato con due grandi successi un anno che ha rappresentato una svolta nella lotta alla criminalità organizzata". Lo ha detto il ministro dell'Interno, Giuliano Amato, dopo aver ricevuto al Viminale, con il viceministro Marco Minniti, il capo della Polizia, Prefetto Antonio Manganelli, il Procuratore Nazionale Antimafia, Pietro Grasso, il Procuratore Capo della Repubblica di Palermo, Giuseppe Messineo, e tutti gli autori dell'operazione "Old bridge".
"E' stato arrestato - ha detto il ministro Amato - uno dei principali boss del napoletano ed è stata eseguita nei confronti della mafia una delle più grosse operazioni congiunte tra noi e l'Fbi. Dopo l'arresto di Provenzano e grazie alla particolare continuità dell'impegno degli ultimi mesi, ad una ad una le famiglie della mafia palermitana e di altre province sono state decapitate".
"Meritano per questo un apprezzamento congiunto la magistratura palermitana e le forze di polizia che lavorano fianco a fianco. Quando un capomafia come Francesco Inzerillo invita i nipoti a lasciare l'Italia vuol dire - ha concluso Amato - che qualcosa sta davvero cambiando".

Grasso-Cuffaro, scontro a distanza.«Favorì i singoli». «Ha letto la sentenza?»


la replica del presidente della regione in un'intervista a sky
Grasso-Cuffaro, scontro a distanza«Favorì i singoli». «Ha letto la sentenza?»
«HA LETTO LA SENTENZA» - «Probabilmente il procuratore non ha letto la sentenza per intero. È stata studiata dai miei avvocati e sostiene che non solo non è stato favorito l'intero sistema mafioso ma neanche il singolo mafioso. Non ho motivo di non credere ai miei avvocati» dice il governatore, replicando alle parole del procuratore nazionale antimafia. Sul verdetto emesso venerdì Grasso non ha dubbi: «I giudici hanno ritenuto provato il favoreggiamento a singoli mafiosi come Guttadauro, Aragona o Miceli—insiste il superprocuratore —, ma evidentemente per attribuire il favoreggiamento dell’intera organizzazione serve una prova diabolica, complicata da trovare». Ma Cuffaro non ci sta: «Certamente cinque anni sono tanti» dice, annunciando che nei prossimi giorni «quando avremo letto per intero le motivazioni che la Corte darà, io e i miei avvocati sosterremo le ragioni del mio comportamento», ma, replicando a Grasso, il governatore non perde occasione per ribadire che sa di non «aver violato alcun segreto d'ufficio» perchè non aveva «nessun segreto e nessuna notizia da dare».
«CHIEDO RISPETTO, NON HO MAI FESTEGGIATO» - Nella lunga intervista rilasciata a Sky il governatore sottolinea di aver preso la decisione di presenziare alla lettura della sentenza «per rispetto nei confronti della magistratura e della Corte che mi ha giudicato» e perchè, per il ruolo ricoperto, «devo dare l'esempio». «È stato un processo che ho voluto affrontare - dice - avrei potuto scegliere rimanere al Parlamento europeo o al Senato dove sono stato eletto ma ho preferito rimanere a lavorare per i siciliani e affrontare il processo rispettando il lavoro dei magistrati. Adesso questo rispetto lo chiedo io da parte di tutti. La sentenza dice che non ho favorito Cosa nostra ed io ero certo di non aver fatto niente per favorire la mafia perchè l'ho sempre combattuta con tutte le mie forze. Spero - afferma davanti alle telecamere di Sky Tg24 - che per onestà molti politici e politologi da questo momento comincino a prendere posizioni più chiare su questo delicatissimo tema. So quanto sia difficile lavorare per questa terra ma è un impegno che non rinnego». «Non ho mai pensato di festeggiare e non l'ho fatto ha poi aggiunto presidente della Regione siciliana -. Non lo hanno fatto le persone che mi vogliono veramente bene e nemmeno i miei amici politici. Ho soltanto dettoche mi sento un po' più confortato nel sapere che anche la corte che mi ha giudicato abbia certificato che non ho mai favorito la mafia nè singoli mafiosi. Mi dispiace che qualcuno tenti di strumentalizzare i sentimenti più veri»
Che ne pensate?

RACKET/ SCONTRO IN CONFINDUSTRIA SICILIA SUI MODI DI COMBATTERLO

Tomasello:non siamo ass. antimafia.Artioli:sviluppo in legalità



Sui modi e le strategie di lottare il racket delle estorsioni sembra si siano aperte differenti vedute tra gli industriali siciliani. A discostarsi dalla linea che sino oggi ha dettato Confindustria è stata Margherita Tomasello, presidente palermitano dei giovani industriali che, a margine di un convegno organizzato da Sicindustria e dal Comitato Provinciale della Piccola Industria sulla Finanza Innovativa, ha dichiarato: "Siamo un'associazione di imprenditori e non di antimafia. Credo che dovremmo parlare meno di certi temi e più di sviluppo", ed ha ricordato che "ognuno di noi ha un ruolo specifico. L'etica e la moralità sono qualità già intrinseche negli imprenditori".
Frasi che non sono piaciute al vicepresidente nazionale di Confindustria con delega al Mezzogiorno, Ettore Artioli, e a Nino Salerno, presidente di Confindustria Palermo, che hanno replicato nettamente alla Tomasello, ribadendo la posizione di Confindustria. "Credo - ha sottolineato Artioli - che si debba fare sviluppo in un contesto in cui la mafia diventi estranea alle nostre imprese. Non illudiamoci che le aziende possano investire in Sicilia senza garanzie di sicurezza e che la mafia possa essere sconfitta se non creeremo opportunità di occupazione".
Più netta la presa di posizione di Salerno che ha rimarcato che "la legalità è la prima delle infrastrutture che servono per lo sviluppo dell'economia siciliana. Occorre - ha precisato - parlare di antimafia e occorre agire d'antimafia. La battaglia di Confindustria contro il racket è prima di tutto una battaglia di sviluppo e civiltà, di coscienza, di coraggio. Solo dopo tutte queste conquiste si potrà parlare di sviluppo vero. E questo momento storico di svolta delle culture anche nel mondo dell'impresa - ha concluso Salerno - è tra i più alti che abbiamo vissuto in Sicilia".

MAFIA/ VENTURI: CONFINDUSTRIA SOSPENDA LA CALCESTRUZZI SPA

"Ha fatto bene la magistratura a colpirla"

"La Calcestruzzi spa andrebbe subito sospesa da Confindustria". Lo dice ad Apcom, Marco Venturi, presidente regionale della Piccola industria di Confindustria Sicilia, commentando l'operazione della dda nissena che ha portato all'arresto dell'Ad della Calcestruzzi ed al sequestro della società. Venturi che è stato fra i primi promotori della modifica del codice etico dell'associazione degli industriali siciliani dice inoltre che "ha fatto bene la magistratura a colpire questa impresa che in passato aveva avuto rapporti non chiari con soggetti della mafia locale". "Da noi - conclude Venturi che è anche vice presidente di Confindustria Caltanissetta - non è socia, ma l'avremmo sospesa".

Mafia: arrestati con 10 kg cocaina.Blitz dei carabinieri a Palermo

I carabinieri di Palermo hanno arrestato 3 persone, ritenute affiliate a Cosa nostra e sequestrato oltre 10 kg di cocaina purissima. Il blitz e' scattato la notte scorsa e gli indagati farebbero parte della famiglia mafiosa di Brancaccio. L'operazione, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, rientra nelle indagini dirette a reprimere il finanziamento del narcotraffico realizzato da Cosa nostra col denaro proveniente soprattutto da racket e usura.

giovedì 7 febbraio 2008

Mafia,90 arresti per impedire rinascita asse Palermo-Usa


I magistrati della Procura distrettuale di New York e i pm della Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Palermo hanno disposto 90 provvedimenti restrittivi, nell'ambito di un'operazione per impedire la riorganizzazione dell'asse Palermo-New York di Cosa Nostra e lo scatenarsi di una nuova guerra di mafia in Sicilia.
Finora le persone arrestate nell'ambito dell'operazione "Old Bridge", illustrata oggi nel corso di una conferenza stampa al Viminale, sono 77, di cui 23 a Palermo - alcune delle quali erano già in carcere - e 54 nell'area di New York.
Tra gli arrestati negli Stati Uniti figurano i tre più importanti esponenti della famiglia Gambino non ancora in carcere: vicecapo, sottocapo e consigliere.
I magistrati palermitani hanno emesso 29 provvedimenti. L'Eastern District di New York ne ha emessi altri 60 circa: 61 secondo la polizia italiana, 62 invece secondo fonti Usa.
Tra i reati contestati a vario titolo figurano quelli di associazione a delinquere di tipo mafioso, omicidio ed estorsione.
"COSA NOSTRA RIVOLEVA CONTROLLO MERCATO STUPEFACENTI"
"C'era un tentativo di riallacciare i rapporti tra Cosa Nostra di Palermo e New York perché la mafia siciliana coltivava l'intenzione di rientrare in modo significativo nel traffico degli stupefacenti", attualmente controllato dalla 'Ndrangheta calabrese, ha detto in conferenza stampa Francesco Messineo, procuratore distrettuale antimafia di Palermo.
Questa tesi, secondo gli investigatori, sarebbe avvalorata anche da una serie di dichiarazioni di collaboratori di giustizia secondo cui stava per partire un progetto per importare droga in Sicilia a prezzi stracciati dal Sud America.
Negli anni Ottanta, con la Seconda guerra di mafia, furono cacciati dalla Sicilia i membri della famiglia Inzerillo, che ripararono negli Usa. Nei primi anni 2000, però, all'interno della mafia palermitana si aprì un dibattito sui cosiddetti "scappati", con il fronte sostenuto dall'allora capo di Cosa Nostra Salvatore Lo Piccolo favorevole al loro rientro, e un secondo fronte che invece si opponeva e anzi minacciava di scatenare una guerra.
Obiettivo dell'operazione odierna, come spiega un comunicato della polizia, era infatti "impedire la riorganizzazione dell'asse Palermo-New York di Cosa Nostra" e scongiurare una nuova guerra di mafia.
ANCORA LATITANTE POSSIBILE FUTURO LEADER DELL'ORGANIZZAZIONE
Tra i destinatari delle ordinanze emesse a Palermo ancora latitanti figura Giovanni Nicchi, 27 anni, ricercato dal 2006 e che secondo gli inquirenti potrebbe tentare di scalare i vertici di Cosa Nostra.
I magistrati hanno spiccato mandati di cattura anche per Frank Calì e Domenico Cefalù, 43 e 62 anni, considerati "significativi membri della famiglia mafiosa italo-americana".
Di Calì si è parlato molto in seguito agli arresti di Bernardo Provenzano e di Salvatore Lo Piccolo e al ritrovamento dei "pizzini", messaggi personali destinati a sottoposti dei boss e conoscenti: è ritenuto l'anello di congiunzione tra cosche palermitane e newyorkesi, ed è forse il capomafia della famiglia Inzerillo-Gambino.
Nel corso dell'inchiesta gli inquirenti sono risaliti agli autori di due omicidi di mafia compiuti negli anni Ottanta nel New Jersey.
In una nota la Questura di Palermo sottolinea che l'operazione "Old Bridge" -- condotta per la parte italiana da 300 uomini del Servizio centrale operativo della polizia e della Squadra mobile di Palermo, coordinati da Dda e Procura nazionale antimafia -- si aggiunge a una serie di inchieste che dal 2005 hanno colpito duramente la mafia, e "ha consentito di disarticolare ulteriormente le famiglie mafiose collegate al capo di Cosa Nostra Bernardo Provenzano e, dopo di lui, a Salvatore Lo Piccolo anche in relazione ai suoi collegamenti internazionali".
Il presidente del Consiglio Romano Prodi ha espresso "soddisfazione per la brillante operazione contro la criminalità organizzata... che ha portato a numerosi arresti sia in Italia che a New York, a testimonianza del grande impegno messo in campo dal Governo che continua ancora oggi".

Decine di arresti a Palermo e New York.Presi i boss del nuovo patto Italia-Usa


Salvatore Inzerillo, ucciso a Palermo il 10 maggio 1981
Operazione "Old bridge": blitz congiunto polizia-Fbi dall'una e dall'altra parte dell'OceanoDue anni d'indagini: nel mirino le famiglie Inzerillo, Gambino, Di Maggio
E' la vecchia mafia sconfitta dai corleonesi che cercava di rialzare la testaAffari enormi e nuovi per riconquistare i territori e il potere perduti
E' la più grande retata antimafia dai tempi della "Pizza Connection". I boss di Palermo e quelli di New York, la "famiglia" Inzerillo e la "famiglia" Gambino, un attacco a Cosa Nostra che da una parte all'altra dell'Atlantico stava prepotentemente tornando sulla scena mondiale dei grandi traffici. Nella notte sono state eseguite 77 delle 90 ordinanze di custodia cautelare: sono tutti gli eredi degli storici "Don" siculo-americani. Trenta li hanno catturati nelle borgate palermitane di Passo di Rigano, di Cruillas, di Boccadifalco, nei paesi di Torretta e di Carini. Gli altri li hanno presi a Cherry Hill e a Brooklyn. E' un'operazione che la polizia italiana e il Federal Bureau of Investigation hanno chiamato in codice. "Old bridge".
Questa retata è comunque solo l'inizio di una più vasta iniziativa anticrimine pianificata fra Italia e Usa, il primo degli assalti alle "famiglie" della Cosa Nostra di New York. Da almeno due anni gli investigatori erano sulle tracce dei Padrini americani alleati degli Inzerillo, dei Mannino, dei Di Maggio e dei Gambino. Li hanno seguiti giorno dopo giorno, ascoltati con le microspie, filmati nei loro spostamenti. Hanno scoperto le loro società e i loro nuovi affari. Soprattutto hanno scoperto un patto fra "siciliani" e "americani" dopo più di due decenni di dominio mafioso corleonese. Una strategia di ristrutturazione di Cosa Nostra che puntava "all'antico".


Così le tradizionali consorterie criminali volevano ritrovare nuove opportunità e nuovi mercati dopo l'èra di Totò Riina. Così gli "scappati" - i mafiosi sfuggiti alla morte nella guerra fra cosche degli Anni Ottanta - volevano riconquistare territori. Erano tornati tutti nelle loro borgate di Palermo, erano pronti a riprendersi tutto. Sono personaggi importanti quelli scivolati nell'indagine della polizia italiana e dell'Fbi, le ordinanze di custodia cautelare sono state firmate a Palermo dai procuratori Giuseppe Pignatone, Maurizio De Lucia, Domenico Gozo, Roberta Buzzolani, Michele Prestipino, Nino Di Matteo e Guido Lo Forte; a New York i mandati di arresto sono stati ordinati dal procuratore distrettuale. Il primo nome è quello di Francesco Paolo Augusto Calì, meglio conosciuto a Brooklyn come Frank o Franky Boy. E' considerato l'"ambasciatore" di Cosa Nostra americana nell'impresa di mettere ordine nei rapporti con le "famiglie" di Palermo. Sin dalla fine del 2003 molti mafiosi siciliani sono volati dall'Italia a New York per incontrarlo, per fare business, per riferire proprio a Franky Boy come andavano le cose in Sicilia. Da più di dieci anni Franky Boy è un "wiseguy", un uomo d'onore della "famiglia" Gambino. Ci sono due collaboratori dell'Fbi - uno è Frank Fappiano e l'altro Micheal Di Leonardo - che ai poliziotti americani hanno rivelato tutte le attività di Frank Calì all'interno dell'organizzazione dei Gambino d'America. "Frank è amico nostro, è il tutto di là", confidava in una telefonata il mafioso Gianni Nicchi - uno degli uomini d'onore siciliani che hanno fatto la spola fra Palermo e gli States per un commercio di stupefacenti - al suo capomandamento Antonino Rotolo. Era chiaro che "è il tutto di là" voleva dire che era Frank a comandare a New York. Se "di là" è stato arrestato l'"ambasciatore" della Cosa Nostra americana, a Palermo è finito nell'inchiesta Giovanni Inzerillo, il figlio secondogenito di Totuccio, uno dei grandi capimafia siciliani prima dell'avvento dei Corleonesi. Giovanni Inzerillo fa l'imprenditore edile come ufficialmente lo era anche il padre, ha 36 anni, secondo gli investigatori ha "debuttato" in Cosa Nostra in un summit tenuto l'11 agosto del 2003 al ristorante "Al Vecchio Mulino" di Torretta, un paesino a una ventina di chilometri da Palermo sulla strada provinciale che porta a Trapani. Quel giorno, al "Vecchio Mulino", si riunirono una quindicina di mafiosi - c'erano anche il cugino Giuseppe Inzerillo e gli zii Giovanni Angelo Mannino e Calogero Mannino - per discutere il loro gran rientro nella Cosa Nostra palermitana. Qualche mese dopo a Giovanni Inzerillo fu affidato il compito di accompagnare il vecchio boss Filippo Casamento prima a Toronto e poi a New York, un viaggio di affari per incontrare in Canada uomini d'onore di origine italiana come Michele Modica e Michele Marrese. E' Filippo Casamento un altro dei mafiosi coinvolti nel blitz di questa notte. Già sottocapo della "famiglia" di Boccadiflaco (prima che i Corleonesi prendessero il potere) e fra gli organizzatori dei traffici della "Pizza Connection", Filippo Casamento è fra i protagonisti del ritorno in Sicilia degli Inzerillo. E' stato lui a "garantire" per gli eredi di quelli che erano una volta i padroni di Passo di Rigano. L'inchiesta sugli Inzerillo e sui Gambino per il momento non spiega fino in fondo cosa è accaduto negli ultimi mesi nella mafia siciliana e in quella del New Jersey, ma di certo rivela che il "piano" degli Inzerillo di riconquistare Palermo è fallito. I boss della mafia storica siculo-americana sono stati fermati proprio mentre si stavano riorganizzando. Anche loro stessi avevano intuito che non sarebbero andati molto lontano. E' stata una microspia a svelare le loro paure. Era il 30 agosto del 2007 quando Giovanni Inzerillo e suo cugino Giuseppe erano andati insieme a trovare in carcere lo zio Francesco, rinchiuso nella casa circondariale di Torino. Si sono salutati, hanno cominciato a fare commenti sul loro "ritorno" a Palermo già raccontato dai giornali italiani, hanno manifestato tutte le loro paure. Ogni loro frase è stata registrata. Ecco lo sfogo di Francesco Inzerillo ai suoi due nipoti in visita al carcere di Torino: "Qua c'è solo da andare via e basta.. se non fai niente devi pagare, se fai devi pagare per dieci volte.. Bisogna andarsene dall'Europa, non dall'Italia, dovete andare via dall'Europa perché non si può più stare, qua futuro non ce n'è, sei sempre sotto controllo, è tutta una catena e una catenella, bisogna andarsene in Sud America... basta essere incriminato per l'articolo 416 bis e automaticamente scatta il sequestro dei beni. Cosa più brutta della confisca dei beni non c'è".

Grasso: "Si ridà fiducia ai cittadini"


Per il procuratore antimafia è il naturale svilippo delle indagini contro Provenzano e i Lo PiccoloCoro di elogi dal mondo politico. Fi: "Vince il potere legale". Idv: "Colpito lo scenario criminale"
"Questi successi danno fiducia ai cittadini, danno speranza ed evitano la rassegnazione". Così il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso ha commentato l'operazione congiunta tra Polizia e Fbi. Non a caso, ha spiegato Grasso, "ci sono commercianti che cominciano a denunciare gli estorsori; giovani che non ci stanno; la Confcommercio che prende posizione". "L'operazione odierna - ha proseguito il procuratore antimafia - è il naturale sviluppo delle indagini condotte negli ultimi anni dalla procura di Palermo, che si sono concluse con le catture di Provenzano e dei Lo Piccolo. Il sequestro di pizzini di eccezionale rilievo - aggiunge Grasso - le interessantissime intercettazioni ambientali e telefoniche hanno evidenziato la rinnovata importanza dei rapporti tra le famiglie di Cosa nostra palermitana e La Cosa nostra americana, con particolare riferimento alla famiglia Gambino di New York". Molte delle persone coinvolte nell'operazione, ha poi ricordato il procuratore, "è gente che in passato era stata condannata, aveva scontato la pena e, tornata in libertà, aveva ricominciato a delinquere. E' quindi difficile - ha sottolineato - combattere questa organizzazione, è come svuotare il mare con un secchio. Per questo serve un'azione martellante e senza sosta". Soddisfazione per l'operazione è stata espressa anche dal presidente della Commissione parlamentare antimafia Francesco Forgione: "Ha un valore straordinario, forse è una delle operazioni più importanti degli ultimi dieci anni. Si è colpito un sistema di collegamenti teso a riconquistare un ruolo internazionale per Cosa nostra". Parole di encomio sono state usate anche dal premier dimissionario Romano Prodi ("Gli arresti di oggi testimoniano il grande impegno del governo che continua ancora oggi"); dal presidente dei senatori di Forza Italia Renato Schifani ("Il potere legale ha sconfitto ancora una volta quello criminale"), e dal portavoce dell'Italia dei valori Leoluca Orlando ("Colpito sul nascere un nuovo pericoloso scenario criminale").

I Gambino e gli Inzerillo


Una vecchia immagine della famiglia Gambino
CHI SONO GLI INZERILLO Per almeno mezzo secolo hanno rappresentato l'aristocrazia mafiosa di Palermo. Imparentati con gli Spatola e i Mannino, i Castellano, i Gambino e i Di Maggio, sono sbarcati per la prima volta in Usa nel 1956, insediandosi tutti a Cherry Hills. Il loro protettore negli Usa era il vecchio Charles Gambino, il capo dei capi della più potente fra le cinque grandi "famiglie" di New York. Alleati storici in Sicilia del Padrino Stefano Bontate, organizzatori di grandi traffici di morfina base dall'Estremo Oriente, gli Inzerillo sono stati travolti nella guerra di mafia esplosa fra il 1981 e il 1983 nelle strade di Palermo. Il loro capo, Salvatore detto Totuccio, fu ucciso il 10 maggio 1981 a colpi di kalashincov in via Brunelleschi a Palermo. Dopo di lui, i Corleonesi ammazzarono due suoi fratelli - Santo, scomparso a Palermo e Pietro, ritrovato cadavere nel New Jersey (nel bagagliaio di un'auto con 5 dollari in bocca e due dollari sui genitali) - uno zio e il figlio primogenito Giuseppe. Spariti per quasi 20 anni dalla Sicilia, qualche mese dopo il 2000 gli Inzerillo fuggiti negli Usa sono ricomparsi a Palermo creando paure nello schieramento corleonese. Nell'estate del 2007, alcuni omicidi hanno annunciato a Palermo una possibile nuova guerra di mafia. CHI SONO I GAMBINO La "famiglia" Gambino è sempre la più potente di tutti gli Stati Uniti. Il suo capo storico era Charles Gambino, che ha retto la "famiglia" dalla metà degli Anni Cinquanta fino al 1976 quando è morto per cause naturali. Diplomatico, "ragionatore", invisibile, dicono che sia stato il Don che abbia maggiormente ispirato il personaggio di Vito Corleone ne Il padrino di Mario Puzo. Il successore di Charles Gambino è stato per qualche anno suo figlio Jonny e in tempi più recenti John Gotti, che morirà di cancro in carcere nel 2002. Per quasi vent'anni alcuni componenti dei Gambino d'America e degli Inzerillo di Palermo sono stati i protagonisti assoluti del traffico internazionale di stupefacenti. Compravano la morfina base nel Sud Est asiatico, la raffinavano a Palermno, smerciavano l'eroina negli Stati Uniti. I Gambino e gli Inzerillo gestirono insieme - nell'estate del 1979 - anche il falso sequestro del bancarottiere Michele Sindona che per cento giorni si nascose in Sicilia sotto il nome di mister Joseph Bonamico.

Da Giovanni Inzerillo a Franky Boy



L'unica immagine nota di Filippo Casamento


Ecco i profili dei più importanti uomini di Cosa Nostra finiti in manette nel blitz di oggi. GIOVANNI INZERILLO E' il figlio del capomafia Salvatore Inzerillo detto Totuccio, uno dei grandi Padrini uccisi dai Corleonesi di Totò Riina. Giovanni, nato a New York nel 1972, è uno dei sopravvissuti alla "guerra" di Palermo degli Anni Ottanta. Dopo il padre, i killer di Corleone hanno ammazzato anche suo fratello Giuseppe, un ragazzino di 14 anni. Gli hanno sparato e tranciato il braccio destro con un'ascia. "Degli Inzerillo non deve restare neanche il seme", disse Totò Riina ai suoi. Giovanni è tornato in Sicilia intorno al 2000, ufficialmente fa l'imprenditore edile, abita nella stessa casa che fu del padre in via Castellana 346, nella borgata palermitana di Passo di Rigano. FRANK CALI' Il suo nome completo è Francesco Paolo Augusto ma tutti lo chiamano Frank o Franky Boy, è l'"ambasciatore" di Cosa Nostra americana per i mafiosi di Palermo. E' nato a New York nel 1965 da genitori siciliani (suo padre aveva un negozietto di materiale elettrico in via dei Candelai a Palermo), alcuni collaboratori dell'Fbi hanno riferito che Frank già nel 1999 era un "wiseguy", un uomo d'onore della "famiglia" Gambino. Ufficialmente amministra alcune società di import export a Brooklyn, la più nota è la Circus Fruits Wholesale, import export di frutta. E' considerato dall'Fbi "soggetto emergente" della Cosa Nostra americana. FILIPPO CASAMENTO Un tempo - negli Anni Settanta - era il "sottocapo" della "famiglia" palermitana di Boccadifalco. Poi, nei mesi dello scontro fra Palermitani e Corleonesi, è fuggito negli Usa. E' uno dei più illustri "scappati", quei mafiosi che hanno lasciato la Sicilia per non finire nelle "camere della morte" di Totò Riina. Negli Usa Filippo Casamento è diventato una star del traffico di stupefacenti. Più volte condannato, è stato liberato il 21 agosto del 2002 ed espulso dagli Stati Uniti il successivo 2 settembre. Giovanni Inzerillo, il figlio di Totuccio, è suo "figlioccio".


GIANNI NICCHI Ha soltanto 25 anni ma è già un boss. Dopo l'arresto di Salvatore Lo Piccolo avvenuto il 5 novembre del 2007, Gianni Nicchi è indicato dagli investigatori italiani come uno dei futuri capi della Cosa Nostra siciliana. La sua "famiglia" è quella di Pagliarelli, guidata da Antonino Rotolo, un fedelissimo di Totò Riina. Nonostante l'appartenenza alla fazione corleonese, Gianni Nicchi fin dal 2003 è volato più volte a New York - con l'"autorizzazione" dei suoi Padrini - per incontrare esponenti della "famiglia" Gambino e in particolare Frank Calì. Secondo gli investigatori erano viaggi per organizzare un grande traffico di stupefacenti fra la Sicilia e gli Usa.

Quei boss mafiosi a passeggio


Le immagini degli emissari di Provenzano, il capo di Cosa nostrasiciliana, a New York. Ma non sono turisti come tutti gli altri.
Nelle foto al ristorante, in albergo e in limousine hanno l'aria di bravi ragazzi in vacanza a New York. Ma non sono turisti come tutti gli altri. Sono gli emissari di Bernardo Provenzano, il capo di Cosa nostra siciliana: nel novembre 2003, fu proprio lui a mandarli in missione, per rinsaldare i rapporti con i cugini della famiglia Gambino. Nicola Mandalà e Gianni Nicchi avevano questo incarico, e tutte le spese pagate. Lavorarono a lungo, così ha documentato l'Fbi, ma furono poco prudenti. Scattarono persino delle foto con le fidanzate, che la squadra mobile di Palermo ha poi trovato durante una perquisizione a casa di un amico di Nicchi, oggi latitante. Eccoli, i padrini siciliani a cena. Il primo a sinistra, è Frank Calì, l'emissario della famiglia Gambino. Al centro, c'è Nicola Mandalà, il rampante boss manager di Villabate che era ormai entrato nelle grazie di Bernardo Provenzano. A destra, Gianni Nicchi, 27 anni e già killer fidato dei padrini. Tutti con signora. Non hanno resistito a farsi immortalare anche in limousine e per le strade di New York, dopo aver fatto shopping. Scene dalla nuova Cosa nostra, quella che Provenzano aveva riformato dopo le stragi Falcone e Borsellino. Ma, probabilmente, non immaginava che le sue nuove leve si sarebbero concessi tanto. Lui, il capo di Cosa nostra, continuava a fare una vita riservatissima: non era ancora arrivato nel casolare di Corleone dove poi è stato arrestato nel 2006, ma di certo non si concedeva alcun lusso. Anche perché era reduce dall'operazione alla prostata, a Marsiglia, dove era stato accompagnato dal fidato Nicola Mandalà. E pure in Francia, il rampollo di Villabate aveva fatto la bella vita: la sera, quando finiva di assistere lo "zio Bernardo", andava sempre al casinò. In America, Mandalà e Nicchi si fermarono fino al 7 dicembre 2003. Le fidanzate tornarono subito a Palermo. Loro fecero invece una tappa a Milano. Due giorni dopo, Mandalà diceva alla fidanzata, al cellulare: "Ho preso due chili di coca... micidiale". Ecco il motivo del viaggio. A Palermo, i magistrati avevano compreso. Il pool costituto dai pm Prestipino, De Lucia, Di Matteo, Gozzo, Buzzolani e dagli aggiunti Pignatone e Lo Forte, aveva già segnato una svolta nell'indagine.

Qualche tempo dopo, le intercettazioni chiarivano ancora. Qualcuno doveva essersi lamentato per le spese pazze dei rampolli a New York. Così Mandalà diceva alla fidanzata, e non sospettava di essere ascoltato al telefono: "Troppi soldi abbiamo speso. Troppi, troppi, troppi. Quarantamila euro. Solo l'albergo e l'aereo sono stati diciannovemila. E poi abbiamo speso ventimila euro lì". Mandalà rassicurava: "Non sono soldi nostri tanto...". Il 18 marzo 2004, il boss di Villabate tornò a New York, questa volta con due collaboratori, Ignazio Fontana e Nicola Notaro. Anche quella volta c'era l'Fbi a riprenderli. Eccolo, Nicola che scende dall'auto. Ignazio è il ragazzone con la camicia a righe e il borsello al collo. Notaro ha un gilet marrone e la giacca al braccio: è il più discreto della compagnia, in realtà era lui il vero manager. Con Frank Calì aveva costituito la Haskell international trading, che si era aggiudicata dalla multinazionale Nestlè un accordo di esclusiva per la distribuzione in America di uno dei marchi più amati dagli italiani. Il primo atto della società italo-americana fu una donazione di 300 chili di pasta ai pompieri della nuova caserma di Liberty Street, costruita davanti la voragine delle torri gemelle. Durante la cerimonia ufficiale di consegna a Ground zero, il 5 dicembre 2003, c'era anche il governatore dello Stato di New York a ringraziare i benefattori italiani, i soci della Haskell international trading. Ma presto, la Nestlè cominciò ad avere qualche dubbio, e fece saltare l'accordo con i distributori italiani.

Guerra di mafia nel New Jersey


Antonino fu vittima della lupara bianca, Pietro venne trovato nel bagagliaiodi un'auto con una banconota in bocca: dopo 27 anni chiariti gli omicidi
La mafia "vincente" si servì di due traditori che fecero la "cortesia" a Riina
I boss palermitani in vacanza a New York
La guerra di mafia di Palermo degli Anni Ottanta fu "esportata" anche negli Stati Uniti. Dopo più di un quarto di secolo, i poliziotti italiani hanno scoperto chi ha ucciso due dei boss della vecchia guardia che vivevano negli Usa. Uno si chiamava Antonino Inzerillo, l'hanno fatto sparire nell'inverno del 1981, una lupara bianca. L'altro è Pietro Inzerillo, il suo cadavere è stato ritrovato il 15 gennaio del 1981 dentro il bagagliaio di un'auto abbandonata davanti all'hotel Hilton di Mont Laurel, nel New Jersey. Aveva una banconota di 5 dollari in bocca e due banconote da un dollaro sui genitali. Mandanti dei due delitti sono stati i Corleonesi. Per ucciderli si sono serviti di due "giuda" della famiglia Inzerillo-Gambino: sono loro che hanno attirato in un tranello i loro parenti. L'inchiesta sugli intrecci fra la mafia Usa e siciliana rivela che a tradire Pietro Inzerillo sarebbe stato Tommaso Inzerillo, suo cugino e anche cugino del boss Salvatore ucciso a Palermo in via Brunelleschi. Da intercettazioni ambientali è emerso che Tommaso Inzerillo "aveva agevolato una situazione... quello che hanno trovato nel bagagliaio", un "favore" fatto ai Corleonesi in cambio della sua salvezza. "A suo cugino ha sparato lui", si è lasciato sfuggire di bocca il boss Antonino Rotolo mentre conversava con i suoi complici e una "cimice" registrava ogni sua parola. A tradire nel clan Inzerillo c'era anche un altro mafioso, Filippo Casamento, in quegli anni sottocapo della "famiglia" palermitana di Boccadifalco. Sempre dalle intercettazioni ambientali in un garage di Antonino Rotolo, i poliziotti hanno intuito che Casamento aveva "fatto una cortesia" a Totò Riina: anche lui aveva collaborato nell'organizzazione dell'omicidio di Pietro Inzerillo. Per uccidere invece Antonino Inzerillo i Corleonesi hanno utilizzato come "talpa" ancora una volta Tommaso Inzerillo, lo stesso che aveva fatto scivolare in una trappola il cugino ritrovato poi nel portabagagli di un'auto nel New Jersey.

Mafia, 80 arresti in operazione fra Palermo e Usa

I magistrati della Procura distrettuale di New York e i pm della Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Palermo hanno disposto circa 80 arresti nell'ambito di un'inchiesta che riguarda esponenti di famiglie mafiose palermitane. Lo riferiscono fonti investigative.
L'operazione "Old Bridge" riguarda esponenti mafiosi già coinvolti in vecchie inchieste su traffici di stupefacenti tra l'Italia e gli Stati Uniti. Alcuni di loro avrebbero riallacciato rapporti sul territorio americano, in particolare con membri della famiglia mafiosa Inzerillo-Gambino.
Nell'ambito dell'operazione - condotta dal Servizio centrale operativo della polizia e dalla Squadra mobile di Palermo, coordinati da Dda e Procura nazionale antimafia - i magistrati di Palermo hanno spiccato un mandato di cattura per Frank Calì, che dovrebbe essere eseguito dall'Fbi.
Di Calì si è parlato molto in seguito agli arresti di Bernardo Provenzano e di Calogero Lo Piccolo e al ritrovamento dei "pizzini", messaggi personali destinati a sottoposti dei boss e conoscenti: è ritenuto l'anello di congiunzione tra cosche palermitane e newyorkesi, ed è forse il capomafia della famiglia Inzerillo-Gambino.
Il ministero dell'Interno ha fatto sapere che l'operazione verrà illustrata alle 16 nel corso di una conferenza stampa al Viminale.

Camorra, polizia arresta boss latitante Licciardi


Gli agenti della Squadra mobile di Napoli e del Servizio centrale operativo hanno arrestato oggi nei dintorni di Napoli Vincenzo Licciardi, considerato uno dei boss del cosiddetto "cartello di Secondigliano" e ricercato da cinque anni. Lo riferisce la polizia.
Il 42enne Vincenzo, assieme alla sorella Maria, aveva preso le redini del clan dopo la morte del fratello Gennaro, detto "'A scigna" (la scimmia), morto per una grave malattia negli anni Novanta. Il suo arresto è stato reso possibile a seguito di lunghe indagini fatte di pedinamenti, intercettazioni e con l’ausilio di sofisticate tecnologie. Le persone che erano con lui al momento dell'arresto sono state denunciate all'autorità giudiziaria per favoreggiamento. Soddisfatto il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso: "L'arresto di Licciardi è un ulteriore successo nella cattura dei latitanti dei clan contrapposti che hanno portato negli ultimi anni alla faida di Secondigliano. Ci si sta avviando verso la completa destrutturazione dei clan che fino ad oggi hanno provocato decine di morti per le strade di Napoli. La cattura di Licciardi, per le geniali modalità con le quali è stata eseguita dalla polizia, rappresenta dunque un passo avanti nella lotta alla camorra". Licciardi, 42 anni, era ricercato dal febbraio 2003 perché doveva scontare un anno di carcere per una precedente condanna. Poi nel luglio del 2004 era scattato contro di lui un mandato di cattura per associazione a delinquere di tipo di mafioso e altri reati.
Nel 2005 era stato diramato un ordine di arresto internazionale e il suo nome era inserito nel "programma speciale di ricerca" della direzione centrale della Polizia criminale.
L'uomo era riuscito a sfuggire almeno tre volte alla cattura. Una, raccontano gli inquirenti, fuggendo attraverso la rete delle fognature. La polizia lo ha segnalato diverse volte all'estero, in particolare in Portogallo, Spagna e Francia.
Alla fine Licciardi è stato arrestato però nella zona di Cuma, a Pozzuoli, nell'appartamento di una coppia di lontani parenti, dove viveva con la moglie.
E' stato proprio lui, ha raccontato la Squadra mobile in una conferenza stampa, ad aprire la porta agli agenti verso le 4 di oggi.
L'uomo, che non ha opposto resistenza, non usava il telefono per comunicare, ma solo biglietti scritti a mano, simili ai "pizzini" del capo mafioso Bernardo Provenzano, e ora gli esperti si sono messi al lavoro per comprenderne il significato.
Licciardi, capo dell'omonimo clan, viene considerato uno dei capi dei clan camorristici di Secondigliano, la cui influenza secondo gli inquirenti si estende direttamente nella zona nord di Napoli, mentre in altri quartieri gode di alleanze con bande locali.
Per la polizia, l'attività principale di Licciardi in questi anni ha riguardato il traffico illegale di capi di abbigliamento, grazie a una vera e propria rete internazionale, che ha consentito anche il riciclaggio di denaro proveniente da altri attività criminali.
L'arresto di Licciardi è stato salutato con soddisfazione oggi dal ministro dell'Interno Giuliano Amato, che si è complimentato col capo della Polizia Antonio Manganelli.
"Anche in Campania stiamo decapitando tutte le principali associazioni criminali. Le forze dell'ordine e la magistratura stanno smontando queste organizzazioni pezzo dopo pezzo. E non si fermeranno qui", ha detto Amato in un comunicato diffuso dal Viminale.

mercoledì 6 febbraio 2008

IL RETROSCENA. Giulio Facchi, ex subcommissario per la raccolta differenziata



"A Bassolino dissi: attento al contrattose lo firmi non ne usciremo vivi"




Accampato in un ufficio del "Conapi", Consorzio nazionale piattaforme e imballaggi, vive un uomo di 53 anni che della catastrofe napoletana sa molte cose. "Su cui - dice - non ha più senso tacere". Si chiama Giulio Facchi. Nel 1998, dopo l'esperienza di assessore all'ambiente nella giunta provinciale di Milano del centro-sinistra, il ministro dell'Ambiente Edo Ronchi lo spedisce a Napoli come subcommissario per la raccolta differenziata. Ci resta fino al 2004. È uno degli occhi e delle orecchie di Antonio Bassolino. Ne diventa amico. Ne rimane travolto. Da subcommissario, alla sua porta bussano tutti. "Amici di amici" per consigliargli di "non rompere i coglioni". Il Sisde. Due commissioni parlamentari. La Procura di Napoli, che sulla sua testimonianza costruisce l'istruttoria che travolge Bassolino, l'Impregilo e lui stesso, che si ritrova imputato. "Rimborsi aerei per tornare ogni 15 giorni dalla famiglia a Milano; 180 euro di traghetti Capri-Napoli-Capri in un agosto in cui feci le ferie del pendolare". Dice Facchi: "Non si comprenderanno mai a pieno le ragioni della catastrofe fino a quando non sarà chiaro cosa accadde tra Napoli e Roma nel 2000". Impregilo-Fibe ha appena vinto la gara per la realizzazione di due termovalorizzatori e di 7 impianti per la produzione di combustibile da rifiuti, le "ecoballe". Antonio Bassolino, neopresidente della Regione e nuovo commissario all'emergenza, è di fronte a una scelta. Bassolino succede ad Andrea Losco (oggi consigliere regionale del Pd, per 15 mesi governatore della Campania dopo il ribaltone Udeur che ha fatto cadere la giunta Rastrelli di centro-destra). È lui, sin lì, ad aver proceduto all'assegnazione definitiva della gara. Alla definizione dei primi subappalti, alla formazione delle commissioni di collaudo. Ha ridisegnato gli uffici del commissario, affidandone le chiavi a una trimurti che opera in palese conflitto di interesse.

Cura la parte legale Enrico Soprano (il cui studio assiste anche gli interessi di Impregilo). Curano la parte tecnica Salvatore Acampora e Raffaele Vanoli. Il primo, futuro "ingegnere capo" del progetto del termovalorizzatore di Acerra dopo averne scritto il capitolato di gara (Impregilo ne liquiderà la parcella di oltre un miliardo di lire). Il secondo, felice di abbracciare di fronte a una macchina fotografica un truffatore come Mario Scaramella, l'uomo della futura calunnia Mitrokhin. Quando Bassolino diventa governatore, il governo D'Alema si sfalda. Ronchi lascia il ministero dell'Ambiente, dove arriva Willer Bordon. Cambiano i presupposti per cui Impregilo-Fibe si è infilata nell'avventura campana. Immaginava di poter incassare dalla produzione del suo termovalorizzatore di Acerra 296 lire il kilowattora (cifra riconosciuta dall'accordo Cip6 sullo sfruttamento di fonti di energia rinnovabile), ma il nuovo "certificato verde" ha abbassato la sovvenzione a 180 lire. Non sta scritto evidentemente da nessuna parte che i costi di quello che è un rischio di impresa debbano far ridiscutere un contratto, ma è esattamente ciò che accade. "Bassolino - dice Facchi - si scava la fossa". Accade a Roma, in una riunione a palazzo Chigi, cui partecipano il governatore, l'avvocato Soprano, Vanoli, Facchi, Bordon. Bassolino convince il governo a riconoscere a Impregilo-Fibe ciò che chiede. Viene cancellato ogni riferimento all'accordo di programma che, come previsto dal bando di gara, avrebbe obbligato il vincitore a fare i conti con le indicazioni della committenza. Viene riconosciuta la tariffa originaria prevista dagli accordi Cip6. È un passaggio cruciale. Si legge negli atti parlamentari della commissione di inchiesta "Russo": "L'eliminazione dell'accordo di programma cancella la possibilità di un'ulteriore negoziazione del contratto con Impregilo-Fibe, indispensabile per superare la sostanziale genericità del progetto. A cominciare dai tempi di realizzazione degli impianti, dagli obblighi nelle more della sua realizzazione". Facchi ricorda: "La mattina della firma del contratto con Impregilo, presi Bassolino da parte. Gli dissi: "Antonio, se firmiamo siamo fottuti. Non ne usciremo vivi". Lui si infuriò. Naturalmente, non aveva letto una sola riga del contratto, perché per lui, quel che contava era "la questione politica". Il resto era "roba da tecnici"... Cominciò a gridare: "E allora me lo spieghi tu cosa succede se non firmo? Non abbiamo più discariche disponibili!". "Mi spieghi che succede quando tra qualche mese avrò i rifiuti in strada e dovrò pagare ad Enel (la concorrente di Impregilo uscita sconfitta dalla gara, ndr) 120 lire per chilo di rifiuto smaltito, quando invece ne pagherò 80?" "Me lo spieghi cosa diremo tra dieci mesi, quando saremo in campagna elettorale?"". Con il bando di gara, gli accordi firmati da Bassolino con Impregilo hanno poco a che vedere. L'operazione si tramuta in un simulacro di project financing, ciò che non è mai stata. Impregilo è libera di scegliere i terreni degli impianti e sulle casse pubbliche grava un nuovo, imprevisto onere, che è quello di soccorrere finanziariamente chi ha vinto la gara per pagare i siti di stoccaggio temporanei delle "ecoballe". Sappiamo come è andata a finire. Non sappiamo perché Impregilo, firmato nel 2000 il contratto con Bassolino, impieghi quattro anni per chiedere e ottenere dal ministro dell'Ambiente del nuovo governo di centro-destra (Matteoli), l'autorizzazione ad allacciare il futuro termovalorizzatore di Acerra alla rete Enel, condizione imprescindibile per metterlo in funzione. Facchi sorride: "Perché? Perché Impregilo entra subito in sofferenza finanziaria e, di fatto, le banche che la sostengono diventano le vere interlocutrici del Commissario. Ottengono nuove clausole contrattuali che gli consentano di sfilarsi, come avverrà, in caso di inadempimento di Impregilo, senza doverne sostenere i costi".










Nella foto il Regista Matteo Garrone
Al via le riprese di "Gomorra"


Si sta girando a Scampia (Napoli) il film tratto dal romanzo "Gomorra" di Roberto Saviano, sul fenomeno della camorra. Fra le comparse ci sono molti piccoli pregiudicati della zona, che davanti all'obiettivo recitano se stessi e i propri traffici. Il regista è il napoletano Matteo Garrone ("L'imbalsamatore", "Primo amore"). Protagonista è Toni Servillo per una produzione firmata da Fandango di Domenico Procacci. "Gomorra", vincitore del premio Viareggio, racconta del potere dell'organizzazione camorristica a Napoli. Alla produzione è sembrato naturale girarlo a Scampia, rione di edilizia popolare nel quartiere di Secondigliano, vero fortino della criminalità organizzata.


Anche un latitante nel progetto "Gomorra"


Il film "Gomorra", tratto dal libro di Roberto Saviano, dirà il suo no alla camorra anche con le parole di un latitante. Secondo il quotidiano Il Mattino, infatti, la colonna sonora del film "Gomorra" diretto da Matteo Garrone, è una canzone scritta da Rosario Armani, paroliere principe del fermento neomelodico napoletano. Armani, all'anagrafe Buccino, condannato per reati contro il patrimonio è, infatti, un latitante.

Mafia: 3 arresti nel calcio serbo


Mafia: 3 arresti nel calcio serbo
In manette anche il vicepresidente federale, tutti ex della Stella Rossa
Tre fermi eccellenti hanno colpito oggi il mondo del calcio serbo, squassato da un'inchiesta sulle collusioni fra societa' sportive e mafia.

In manette sono finiti il vicepresidente della Federcalcio, Dragan Dzajic ex campione del calcio jugoslavo, l'ex cestista della nazionale Vladimir Cvetkovic e il manager Milos Marinkovic: tutti e tre gia' dirigenti della Stella Rossa di Belgrado. L'accusa e' di aver lucrato da fondi neri creati con la cessione di giocatori e riciclaggio di denaro.

martedì 5 febbraio 2008

Una rete di covi sotterranei


Gli ultimi quattro li hanno trovati i carabinieri stamattina, a Gioia Tauro. Uno sotto il pavimento di un capannone, un covo caldo, come si dice. Cioè usato da poco. Come quello all'interno di una villa a San Luca in Aspromonte. La polizia lo trovò controllando il pavimento, a pochi giorni dalla strage di Duisburg. L'arte di nascondersi l'hanno certo inventata in Calabria. Nascondersi fino a scomparire, diventare invisibili. A che altro può servire un cunicolo di 150metri di profondità, percorribile solo sdraiati a pancia in giù e a bordo di uno skate board. I carabinieri lo hanno trovato nelle campagne di Rosarno, sotto una botola. Nascondigli, ma non solo. Anche bunker. Non si trovano mai in superficie ma sotto terra. Non sono spartani ma ben attrezzati e confortevoli. In alcuni casi dotati addirittura di vasca idromassaggio. Ma è a Platì che l'architettura della 'ndrangheta ha prodotto il meglio di sé. Sotto terra gli investigatori hanno trovato una vera e propria città segreta. Alla quale si accedeva dalle case del paese, attraverso stratagemmi come un muretto scorrevole in cucina e azionabile automaticamente dall'interno. La rete fognaria in disuso, poi, era stata adibita a via di fuga, lunga due km e capace di condurre dritto dritto fuori dal paese. Secondo il procuratore antimafia Nicola Gratteri, solo in provincia di Reggio ogni famiglia mafiosa avrebbe almeno 5 nascondigli a testa. In altre parole, 200 bunker ancora segreti.

'NDRANGHETA: ZOCCOLA, LAVORAVO IN INTERESSE CLIENTI BANCA

"Sono accusato di essermi appropriato dei soldi degli svizzeri, ma erano pagamenti legittimi per prestazioni professionali che offrivo in qualita' di procacciatori di clienti". Si e' difeso fornendo questa versione, Alfonso Zoccola, nell'interrogatorio di garanzia davanti al Gip Guido Salvini. Zoccola era stato arrestato, venerdi' scorso, dai Ros dei Carabinieri, nell'ambito di un'operazione contro la 'ndrangheta, che ha portato in carcere anche l'avvocato milanese Giuseppe Melzi. La Procura contesta a Zoccola di aver dato un contributo decisivo nella truffa messa in piedi dal gruppo criminale attraverso una banca d'affari elvetica, la World Financial Service, che aveva circa 1.500 clienti. Questi ultimi si erano rivolti alla Magistratura svizzera, dopo che un giornalista di Zurigo aveva smascherato sui media la truffa. "Per questi fatti, sono gia' a giudizio in Svizzera", ha detto al Gip, Zoccola, la cui difesa e' stata, tuttavia, definita "assolutamente insoddisfacente" dal Pm Mario Venditti, anch'egli presente all'interrogatorio. In mattinata, era stato interrogato un altro degli arrestati, Mario Fera Andali, il quale, davanti al Gip Luigi Varanelli, si e' avvalso della facolta' di non rispondere".

La morte del boss Molè e l’incubo di una nuova faida di ‘ndrangheta


Gli hanno sparato quattro colpi di pistola calibro 9 alla testa decretando così la fine di uno dei massimi esponenti di quella che gli investigatori definiscono l’ “aristocrazia” della ‘ndrangheta, scatenando un vero e proprio terremoto tra le cosche del reggino e, probabilmente, la ripresa della guerra di mafia.L’omicidio di Rocco Molè, 42 anni, ucciso in un agguato a Gioia Tauro, non può non essere definito eccellente nel panorama criminale. Condannato in appello ad un ergastolo e a 12 anni di reclusione per una serie di reati gravissimi, tra cui alcuni omicidi, Molè era il reggente di una cosca storica della ‘ndrangheta. I Molè sono stati e sono da sempre gli alleati più fidati dei Piromalli, la famiglia di ‘ndrangheta forse più nota, quella che gestì il passaggio delle cosche in moderna organizzazione criminale, legando gli affari del costruendo porto di Gioia nei primi anni ‘70 al salto di qualità della vecchia onorata società.Sono stati i Molè, per conto di questo patto federativo, a gestire gli affari legati al narcotraffico, in contatto con le cosche del centro e del nord Italia e con i cartelli colombiani.
Non solo, grazie al controllo del porto, i Piromalli-Molè hanno potuto sviluppare ulteriori attività illegali, senza escludere il traffico di armi da Bosnia e Croazia.Rocco Molè, sorvegliato speciale di polizia, terzogenito del vecchio boss Nino Molè, morto due anni fa per cause naturali in carcere, stamani, a bordo di una minicar (di quelle che si guidano senza patente), si stava recando in un terreno agricolo di sua proprietà alla periferia di Gioia Tauro, come faceva quasi tutti i giorni. Due sicari lo hanno affiancato a bordo di una moto, quindi il passeggero ha sparato tre colpi di pistola raggiungendo Molè alla testa. La vettura si è fermata sul ciglio della strada ed i sicari hanno esploso il colpo di grazia.Sul posto sono intervenuti il coordinatore della Dda di Reggio Calabria, Salvatore Boemi, il procuratore di Palmi, Vincenzo Lombardo, il capo della squadra mobile reggina, Renato Cortese, ed il suo vice, Renato Panvino. Subito sono scattate perquisizioni e controlli a pregiudicati ed un controllo capillare del territorio da parte di polizia e carabinieri.
Ma la domanda che si pongono adesso magistrati ed investigatori è una sola. Cosa succederà adesso? A caldo, ha spiegato un investigatore, è difficile fare analisi, ma di certo l’omicidio di Molè “lascia aperta la porta ad ogni scenario, anche inquietante”.In particolare gli scenari presi in esame sono due: o si è trattato di una questione interna, ed allora probabilmente non ci saranno conseguenze, oppure siamo all’inizio di una nuova guerra di mafia. Un rischio che i vertici della Dda avevano ipotizzato lo scorso anno, quando, basandosi su notizie dell’intelligence, evidenziarono il pericolo di “una nuova fase dell’azione del crimine organizzato che nel breve volgere di pochi anni quasi certamente transiterà verso una nuova e totale guerra tra le cosche, pronte a contendersi gli investimenti comunitari, gli investimenti governativi e regionali, e, soprattutto, gli investimenti privati che operatori economici anche esteri hanno già programmato per l’immediato futuro”.È questo lo scenario che si apre adesso a Gioia Tauro e nel reggino? Per saperlo sarà necessario aspettare le prossime settimane perché, spiega un investigatore, “non è possibile toccare il casato Molè senza aspettare una risposta”.

La morte del boss Molè e l’incubo di una nuova faida di ‘ndrangheta


XIII Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie


In preparazione del 15 marzo 2008 a Bari
La XIII Giornata della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime delle mafie promossa da Libera in collaborazione con Avviso Pubblico si svolgerà il 15 marzo 2008 a Bari (data anticipata di una settimana rispetto al tradizionale e ufficiale 21 marzo, coincidente con il prossimo venerdì santo). La giornata con il patrocinio della Regione Puglia, della Provincia e della Città di Bari ricorda tutte le vittime innocenti delle mafie – su quelle pugliesi, circa quaranta, è calato il silenzio - e rinnova in nome di quelle vittime l’impegno di contrasto alla criminalità organizzata. La Giornata della Memoria e dell’Impegno è dedicata a tutte le vittime, proprio tutte.
Dai nomi più famosi a quei semplici cittadini, magistrati, giornalisti, operatori delle forze dell’ordine, imprenditori, sindacalisti, sacerdoti, esponenti politici e amministratori locali morti per mano delle mafie solo perché, con rigore e coerenza, hanno compiuto il loro dovere.
Il programma della giornata del 15 marzo è in via di definizione e verosimilmente prevederà: un corteo al mattino (con raduno dalle ore 10); alcuni momenti di riflessione e ricreazione al pomeriggio (nel centro cittadino); uno spettacolo nel pomeriggio. I luoghi della manifestazione sono tutti concentrati in poche centinaia di metri: non sarà necessario muoversi con mezzi pubblici o propri tra le varie fasi della Giornata. Le possibilità alberghiere o di altro genere (palestre, oratori, ecc.) per chi alloggia nei giorni della manifestazione dovranno essere richieste al più presto alla segreteria organizzativa di Bari, in modo da consentirci di raccogliere tutte le esigenze che emergeranno.
Per ciò che concerne il viaggio, Bari è una grande città, facile da raggiungere con tutti i mezzi di locomozione. Prevederemo dei parcheggi per gli autobus e delle navette da stazione e aeroporto. Anche quest’anno l’impegno è di fornire un contributo forfettario per le delegazioni che arrivano da tutta l’Italia, per agevolare l’organizzazione dei viaggi. In relazione alla tipologia (dando priorità alle associazioni e alle scuole aderenti a Libera), alla provenienza e a eventuali situazioni particolari sono definite tre fasce di contributo (fino ad esaurimento risorse): 200,00 €, 400,00 € 600,00 € per i gruppi da 50 unità e multipli.
A tal proposito è necessario far pervenire l’adesione alla Giornata entro il 31 gennaio 2008 presso email all'indirizzo: bari.15marzo@libera.it o tramite fax allo 080 5772071. Per prepararsi e riflettere sul valore e l’importanza della Giornata della Memoria e dell’Impegno, la giornata è preceduta da molte iniziative, quest’anno, tutte riunite in un cartellone denominato “I centopassi verso il 21 marzo”che si svolgono in tutte Italia. A mano a mano che si definirà meglio il programma e la logistica della Giornata, sarà nostra cura aggiornare il sito www.libera.it.

Abitare i margini




Nuovo Percorso Formativo per insegnati sull’educazione alla cittadinanza





Contribuire a formare “cittadini responsabili” vuol dire , in maniera costante e continua, acquisire sempre nuove competenze, conoscere e promuovere la cultura della convivenza sociale, delle regole del vivere civile, del rispetto, della partecipazione e della responsabilità. “Abitare i Margini” è il nuovo percorso di formazione di Libera in collaborazione con il Ministro della Pubblica Istruzione finalizzato all’approfondimento del tema cittadinanza oggi. E’ rivolto a 150 insegnanti rappresentanti le scuole di ogni ordine e grado di tutta l'Italia.

I prossimi appuntamenti:
Firenze:
22 - 23 - 24 febbraio 2008

Torino:

8 - 9 - 10 febbraio 2008

7 - 8 - 9 marzo 2008

Bando di selezione per l’uso sociale dei beni confiscati in provincia di Milano.


Si apre la selezione per i collaboratori al progetto promosso da Libera e Provincia di Milano
La Lombardia è attualmente la quinta regione per numero di immobili confiscati alle mafie e Milano e tutta la sua provincia costituisce il territorio dove si registra la più alta concentrazione degli stessi, segno di una presenza delle mafie in termini di controllo del territorio e di riciclaggio dei proventi illeciti. Dalla collaborazione tra “Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie” e la Provincia di Milano nasce il progetto denominato “L’uso sociale dei beni confiscati nella provincia di Milano”: sono previsti un ciclo di seminari informativi per sensibilizzare i territori dove sono ubicati i beni stessi circa il loro riutilizzo sociale, un’attività di ricerca socio-economica e il sostegno alla progettazione con la individuazione e l’applicazione di quelle buone prassi volte a rendere più spedita ed efficiente l’effettiva applicazione della legge stessa. Un progetto che parte dal riutilizzo a fini sociali dei beni confiscati ai sensi della legge n. 109 del 1996 e si allarga al complesso delle politiche locali di prevenzione dei fenomeni criminali e di promozione della cultura della legalità e della cittadinanza. Per svolgere queste attività Libera, in accordo con la Provincia di Milano, intende selezionare due collaboratori che presteranno il loro contributo professionale alla realizzazione delle attività di formazione e animazione territoriale nei Comuni in cui sono presenti beni confiscati, di studio e ricerca sulla situazione della criminalità organizzata a Milano e provincia, di analisi sullo stato dei beni confiscati e sulle opportunità di riutilizzo degli stessi soprindicate.

Camorra, 24 arresti nel Salernitano


Nel mirino due clan attivi nel traffico di droga nel Cilento
Vasta operazione dei carabinieri del Ros e del nucleo provinciale di Salerno contro la camorra nel Salernitano.Ventiquattro le ordinanze di custodia cautelare, 12 ai domiciliari e 12 in carcere, eseguite per conto della Dda. Le accuse sono di omicidio, associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, favoreggiamento, sfruttamento della prostituzione ed estorsioni. L'operazione ha colpito due clan che si contendono il traffico di droga nel Cilento.

CAMORRA: BLITZ CONTRO I CLAN DI ACERRA, 24 ARRESTI


Sei mesi di indagini della Squadra Mobile coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli hanno portato a 24 arresti che hanno disarticolato i clan attivi ad Acerra, ma soprattutto sventato una strage, alcuni omicidi. In carcere anche Giovanna Terracciano ed Elvira De Falco, rispettivamente moglie e figlia del capoclan Ciro, ucciso in un agguato il 20 ottobre di due anni fa, che per gli inquirenti avevano un ruolo di primo piano nel clan. Nelle intercettazioni ambientali nell'abitazione del boss ucciso gli investigatori hanno sentito 'in diretta' la vedova del capoclan esortare i sicari incaricati di uccidere un affiliato dei rivali Mariniello, Luigi Borzaccchiello, colpendolo in faccia; ed in effetti la vittima fu uccisa con una gragnuola di colpi la volto. E ancora, Elvira, partecipare a ristabilire il nuovo assetto delle alleanze sul territorio dopo la morte del padre: "non e' cambiato nulla, i soldi di mio padre ce li mangiamo sempre noi. Acerra e' sempre di mio padre, lo devono capire questa gente di m...". L'inchiesta, basata principalmente sulle intercettazioni telefoniche e ambientali e con l'apporto di due pentiti, ha fatto luce su una serie di episodi di contrasto tra i De Falco-Di Fiore, alleati dal 2004 con i De Sena nello spartirsi i proventi delle estorsioni sul territorio, e i Mariniello, alleati con i Tedesco, 'guerra' di camorra cominciata ad ottobre 2006 proprio con l'agguato al boss. La polizia, ascoltando le conversazioni tra gli affiliati del clan, ha salvato la vita due volte ad Antonio Mariniello, responsabile dell'uccisione di Ciro De Falco e per questo condannato a morte dal clan rivale. Una prima volta, a novembre del 2006, quando i De Falco tentano l'azione, agenti accompagnano Mariniello nella sua abitazione in auto e i killer non agiscono. Il boss rivale, a questo punto, non lascia piu' il suo appartamento. E in casa De Falco, dove si trattano partite di droga in presenza dei bambini, si progetta anche un intervento con il tritolo nello stabile di Acerra dove abita a pur di ucciderlo. "Gli butto giu' 150 metri quadrati e 10 metri di muro", spiega Pasquale Di Fiore, marito di Elvira, alla suocera Giovanna e al cognato Impero; "vediamo di non fare figure di m..." dice la donna. "Come ho progettato la bomba, non scappa, Giovanna. Gli do Afragola addosso", e' la replica. L'esplosivo, spiegano il pm Vincenzo D'Onofrio e il responsabile della Mobile Vittorio Pisani, era gia' pronto e proveniva da una cava del napoletano; nell'esplosione avrebbero potuto perdere la vita, oltre a Mariniello, almeno altre 15 persone. Anche in questo caso, agenti di polizia vengono notati dalle vedette della camorra nei pressi dello stabile e non si procede. L'ascolto delle conversazini di camorra ha permesso di sventare, oltre la strage, altri due agguati, mentre in due casi non si sono decifrati i luoghi e le persone obiettivo dei killer. Nel blitz di questa notte, al quale sono sfuggiti tre affiliati, la polizia ha anche sequestrato una parte dell'arsenale del clan, del quale facevano parte anche kalashnikov. Nel 2005, un analoga indagine aveva portato in carcere una cinquantina di componenti dei clan di Acerra.

lunedì 4 febbraio 2008

Operazione anti camorra ad Acerra: 21 arresti


Ventuno persone sono state arrestate dagli agenti della Squadra Mobile della Questura di Napoli, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia, nell'ambito di una operazione contro esponenti dei clan camorristici di Acerra, nel napoletano, crocevia di alleanze e scontri di opposti cartelli camorristici. Le ordinanze di custodia cautelare in carcere sono state emesse dalla magistratura contro gli eredi dei clan De Sena e Mariniello, storici capi camorra della zona.

domenica 3 febbraio 2008

Sequestrato il colosso del cemento: "Fondi neri per la mafia"











Mario Colombini è accusato di truffa, inadempimento di contratti di pubbliche forniture e intestazioni fittizie
"La Calcestruzzi favoriva la mafia"Arrestato l'amministratore delegato
Sequestrati beni e capitale sociale dell'azienda

Con l'accusa di truffa, inadempimento di contratti di pubbliche forniture e intestazione fittizie di beni, è finito in manette l'amministratore delegato della Calcestruzzi spa, Mario Colombini, 62 anni. A Colmbini viene contestata l'aggravante di avere agevolato l'attività di Cosa nostra. Inoltre il gip del tribunale di Caltanissetta ha ordinato il sequestro dell'azienda. Un provvedimento che riguarda beni materiali e immobili, il capitale sociale e le strutture informatiche in uso dalla società. Il valore complessivo del sequestro ammonta a circa 600 milioni di euro. Colombini è stato arrestato stamani nella sua abitazione di Camparada, un comune della Brianza in provincia di Milano. Il gip ha inoltre firmato altri tre provvedimenti di custodia cautelare nei confronti di Fausto Volante, direttore di zona per la Sicilia e la Campania della Calcestruzzi spa, che nei mesi scorsi lo aveva sospeso; dell'ex dipendente della società bergamasca, Francesco Librizzi, che era capo area per la Sicilia e di Giuseppe Giovanni Laurino, ex dipendente, anche lui capo area per la Sicilia. Sono accusati di truffa e inadempimento di contratti di pubbliche forniture, con l'aggravante di aver agevolato Cosa nostra. Secondo gli inquirenti, la Calcestruzzi avrebbe proceduto, non solo nella provincia di Caltanissetta e in Sicilia, ma anche su tutto il territorio nazionale, alla creazione di fondi neri, "da destinare - secondo l'accusa - quantomeno in Sicilia, alla mafia". L'azienda avrebbe fornito calcestruzzo di qualità inferiore a quella richiesta dalle imprese che eseguivano appalti pubblici. Questo sistema, per gli inquirenti, sarebbe stata "una strategia aziendale della Calcestruzzi, adottata su scala nazionale e gestita a mezzo, anche, del sistema informatico, con la consapevolezza dei vertici aziendali". Lo scorso 23 dicembre il gruppo Italicementi, che controlla la Calcestruzzi, aveva individuato alcune irregolarità decidendo di sospendere l'attività nell'isola.




Ora l'azienda conferma piena collaborazione alla magistratura. E' stato formato un comitato di tre saggi (Pierluigi Vigna, Giovanni Fiandaca e Donato Masciandaro) che elaboreranno un codice operativo di garanzia.