sabato 1 dicembre 2007

Mafia,nuovi arresti.Pentito un boss di Lo Piccolo.

PALERMO. C'è un «pentito» che sta raccontando la «nuova mafia» in presa diretta. La «gola profonda» si chiama Salvatore Franzese, era latitante, ad agosto, quando è stato braccato dalla polizia perché alla guida della cosca di San Lorenzo per conto di Salvatore Lo Piccolo. Un nuovo ciclone che è destinato a investire Cosa nostra, già provata per le recenti catture di boss (l'ultima, giovedì sera, ai danni del latitante Michele Catalano), e da nuovi arresti scattati ieri sera.
Nelle ultime ore sono finiti in cella altri quattro presunti fiancheggiatori dei boss ai vertici di Cosa nostra in Sicilia. Un imprenditore e tre presunti mafiosi sono stati arrestati tra Cinisi e Carini. L'ordine di custodia colpisce Gaspare Di Maggio, considerato il reggente della famiglia mafiosa di Cinisi; l'anziano boss Calogero Battista Passalacqua, detto «Battistone», che era già stato reggente della famiglia di Carini (è ai domiciliari per motivi di età, ha 76 anni); l'imprenditore Francesco Ferranti, ritenuto vicinissimo ai boss di Tommaso Natale, e Paolino Dalfone, indicato come mafioso di Brancaccio.
Agli atti dell'inchiesta che li riguarda finiranno anche i verbali del nuovo pentito che ha tradito i Lo Piccolo.
Il nuovo terremoto giudiziario che scuote le cosche parte proprio dalla scelta di Franzese di lasciare Cosa nostra: «Voglio collaborare con l'autorità giudiziaria per raccontare tutto ciò di cui sono a conoscenza sull'organizzazione mafiosa Cosa nostra, sulla famiglia di Partanna Mondello e sul mandamento di San Lorenzo, nel quale sono inserito». Sono queste le prime parole messe a verbale da Franzese davanti ai pm Domenico Gozzo e Gaetano Paci, della Direzione distrettuale antimafia di Palermo. Franzese era ricercato per un ergastolo inflittogli dai giudici di Messina dopo un omicidio. La sua prima deposizione ufficiale è del 14 novembre scorso, 9 giorni dopo l'arresto dei Lo Piccolo. «Ho fatto parte di Cosa nostra» ha debuttato Franzese. «Sono stato vicino ad alcuni esponenti mafiosi di Partanna Mondello, tra questi Giovanni Cusimano, così come risulta dal processo San Lorenzo 1, nel quale sono stato condannato definitivamente per associazione mafiosa».
Franzese ha raccontato così la storia della sua affiliazione alla mafia. «Avevo capito che Salvatore Lo Piccolo non aveva una buona considerazione di me perché aveva visto che portavo un tatuaggio e probabilmente sapeva che avevo fatto uso di droghe sicché non aveva reagito bene nei miei confronti. Le stesse cose erano state dette a Sandro Lo Piccolo, che però non le aveva ritenute rilevanti e infatti mi aveva accolto bene. Salvatore e Sandro Lo Piccolo, e Andrea Adamo (catturato a Giardinello coi due capimafia, ndr), rimasero un pò in disparte a parlare tra loro, e alla fine Sandro mi comunicò che sarei entrato a far parte di Cosa nostra. In quella occasione sono stato affiliato, con una vera e propria cerimonia con la santina e il giuramento... Sandro mi disse che dovevo occuparmi della famiglia di Partanna Mondello».
Ai pm del «pool» antimafia di Palermo, il nuovo collaboratore di giustizia ha raccontato altri particolari della vita di Cosa nostra ultima generazione: «Non so se i Lo Piccolo sapessero che avevo dei parenti nelle forze dell'ordine: in particolare, mio nonno materno era maresciallo dei carabinieri e mio nonno paterno era un maresciallo dell'esercito». Ma dopo alcune retate, spiega Franzese, «i Lo Piccolo avevano l'esigenza di riorganizzarsi e di arruolare il maggior numero di persone nella città di Palermo, e ritengo che fosse questa forse la ragione per cui non andarono per il sottile, sia con me che con altri. Sandro Lo Piccolo mi aveva detto che lui e suo padre erano competenti sino all'ultimo comune della provincia di Palermo in direzione di quella di Trapani. Nella città di Palermo il ruolo dei Lo Piccolo si era affermato fino a Brancaccio». Nella confessione di Franzese c'è anche il capitolo dei regali per la Pasqua 2006 da far avere a tutti gli «esattori» della cosca: una decina di affiliati sono indicati per nome, altri solo con le iniziali. A tutti i boss fecero avere 101mila euro.

martedì 27 novembre 2007

Mafia,sei arresti a Gela per pizzo su appalti

Mafia, sei arresti a Gela
per pizzo su appalti


GELA - Importanti arresti a Gela per sgominare il clan che imponeva il pizzo su appalti nell'indotto del petrolchimico. I carabinieri del Comando provinciale hanno eseguito sei ordini di custodia cautelare, uno dei quali interessa una donna, che riguardano presunti affiliati al clan mafioso degli Emmanuello, accusati di aver gestito appalti al petrolchimico di Gela. I provvedimenti sono stati firmati dal gip Giovambattista Tona, su richiesta del procuratore aggiunto di Caltanissetta Renato Di Natale e del sostituto della Dda Nicolò Marino.

Tra gli indagati il personaggio di maggiore spicco è Crocifisso Smorta, indicato come il reggente del clan Emmanuello. L'attività investigativa riguarda un arco di tempo compreso tra il 2001 e il 2005. Secondo gli investigatori in quel periodo Smorta, benché detenuto, riuscì egualmente a dirigere le estorsioni, facendo pervenire ordini a suoi uomini fuori dal carcere. Veniva taglieggiato un consorzio imprenditoriale, che avrebbe versato una tangente del tre per cento sulle commesse ricevute.

Gli indagati sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa e trasferimento fraudolento di valori. Le indagini hanno preso il via dalla ricerca di Alessandro Daniele Emmanuello, inserito fra i 30 latitanti più pericolosi d'Italia. Attraverso intercettazioni effettuate in carcere i carabinieri hanno individuato il reggente del clan Emmanuello, e poi l'uomo che curava gli interessi economici dell'organizzazione e i "postini", che dal carcere portavano all'esterno gli ordini dei boss nisseni.

Gli indagati, secondo gli inquirenti, attraverso alcune imprese come la "Co.na.pro" con sede a Roma (ora non più attiva), la "Gela gas srl", la "Sicurt 87" di Gela (non più attiva) e la "N&M srl" di Gela, tutte operanti nell'indotto del petrolchimico di Gela, per l'accusa in seguito alle pressioni esercitate dal clan mafioso, si aggiudicavano, fino a poco tempo fa, gran parte delle commesse della raffineria.