sabato 1 marzo 2008

Duisburg, individuato l'altro killer.Traffico di coca Perù-Calabria




La lotta alla 'ndrangheta: Giuseppe Nirta è latitanteArresti fra Montecatini e Lima, individuato deposito di coca





Ha un nome il secondo killer della strage di Duisburg. Si tratta di Giuseppe Nirta, cognato di Giovanni Strangio, già ricercato da mesi proprio per l'agguato di ferragosto davanti al ristorante "Da Bruno". L'uomo è stato individuato grazie alle impronte digitali rilevate in un'abitazione di Duesseldorf, affittata dal commando prima di eseguire la strage. A rivelarlo è stato il settimanale "Focus", secondo il quale la polizia belga aveva anche rintracciato fin dallo scorso ottobre in Belgio la Renault Clio nera usata dagli assassini per fuggire dopo il massacro. La segnalazione era arrivata da un cittadino di Gand, che aveva notato l'auto sospetta e con le chiavi ancora inserite nel cruscotto. Secondo la ricostruzione delle forze di polizia, dopo l'agguato costata la vita a 6 persone tutte originarie della Locride e legate al clan Vottari-Pelle, i killer delle famiglie Nirta-Strangio avrebbero attraversato la frontiera belga, per poi rientrare molto probabilmente in Italia. Il procuratore di Duisburg, Detlef Nowotsch ha confermato che nell'auto sono state rinvenute "numerose tracce", ma non ha voluto aggiungere particolari. Secondo alcune fonti, sul sedile accanto al posto di guida della Clio sarebbero state rinvenute tracce di Dna che non appartengono a Strangio e che devono dunque essere attribuite al suo complice. Le autorità ritengono che si tratti del cognato di Strangio, Giuseppe Nirta, ricercato con un mandato di cattura internazionale. Gli inquirenti si dicono anche convinti che le tracce di dna rinvenute nella Renault nera usata per la fuga appartengono proprio a Nirta, come quelle reperite nell'abitazione di Duesseldorf. Gli inquirenti tedeschi hanno presentato una richiesta di rogatoria per poter confrontare il Dna ritrovato con quello dei familiari di Giuseppe Nirta. Che la faida di San Luca non fosse determinata solo da dissapori tra famiglie mafiose rivali è da tempo più di un semplice sospetto. Di recente tuttavia si va consolidando l'idea che la guerra di 'ndrangheta abbia come ragione fondamentale il controllo di interessi criminali in Germania. Primi tra tutti il riciclaggio e il traffico internazionale di droga.

A dimostrare che i clan dell'Aspromonte siano impegnati nel narcotraffico c'è anche l'operazione portata a compimento nei giorni scorsi dagli uomini della Questura di Reggio Calabria. La Polizia ha arrestato a Montecatini Terme (Pistoia) due persone, accusate di essere affiliate ad una cosca della Locride, per traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Altri tre arresti, nell'ambito della stessa operazione, condotta dalla sezione antidroga della Squadra mobile di Reggio Calabria, sono stati fatti a Lima, in Perù. L'operazione, fatta in collaborazione con la Polizia peruviana, ha consentito di bloccare l'importazione in Italia di 40 chilogrammi di cocaina. La droga, che è stata sequestrata, era in possesso dei tre corrieri stranieri bloccati nei pressi dell'aeroporto di Lima. Le due persone arrestate a Montecatini sarebbero affiliate alla cosca della 'ndrangheta Sergi-Marando-Trimboli di Platì, particolarmente attiva nel traffico internazionale di cocaina. Secondo quanto appreso, la polizia, a Montecatini, ha sequestrato anche sette chilogrammi di cocaina e 40 mila euro in contanti. L'operazione, denominata "Zappa 3" è stata coordinata dalla distrettuale antimafia di Reggio Calabria e portata a termine dalle questure di Pistoia e Reggio Calabria. Nel corso di una conferenza stampa, a cui hanno preso parte il questore Santi Giuffrè, il capo della mobile Renato Cortese e della narcotici Diego Trotta, è stato spiegato che una villetta di Montecatini Terme sarebbe stata utilizzata come deposito della cocaina. Le due persone arrestate a Pistoia sono Franco Biagini, sorvegliato speciale, e Franco Pellegrini, anch'egli con precedenti penali. Entrambi toscani. In Perù sono finiti in manette i corrieri Ondrej Kelemen, di nazionalità ceca, Sarda Dalloeshingh, olandese, e Jorge Daniel Acosta Reyes, uruguaiano.

venerdì 29 febbraio 2008

Camorra, fanghi industriali nei campi, 1 arresto e 6 indagati


I carabinieri hanno detto oggi di avere colpito una gang camorristica che smaltiva fanghi di depurazione e industriali, provenienti anche da aziende del polo chimico di Marghera, in terreni agricoli di proprietari compiacenti nella provincia di Caserta, facendoli passare per compost fertilizzante.
L'operazione, condotta dai militari del Reparto operativo per la tutela dell'ambiente (Noe) di Aversa ha portato all'arresto di Giorgio Marano, ritenuto affiliato al "clan dei casalesi", che opera nella provincia di Caserta, mentre altri sei persone risultano indagate.
Gli illeciti denunciati dagli investigatori riguardano lo smaltimento di 8000 tonnellate di rifiuti, che sarebbe avvenuto nel 2005, e un guadagno illecito di circa 400.000 euro, riferisce una nota del Noe.
Il gip di Napoli ha disposto anche "il sequestro di tre vasti appezzamenti di terreno agricolo nella provincia di Caserta, dei locali in uso a una società di trasporti con tutti gli automezzi utilizzati per il trasporto dei rifiuti e di un grosso impianto di compostaggio", prosegue la nota.
Secondo una fonte investigativa, "i fanghi di origine industriale provenivano da diverse aziende del nord, anche del polo chimico di Porto Marghera", vicino a Venezia.
I reati ipotizzati sono di concorso in attività organizzata per traffico illecito di rifiuti e truffa aggravata.

Governatore Bassolino e altri 27 rinviati a giudizio


Per irregolarita' gestione rifiuti, processo il 14 maggio
A giudizio per la questione rifiuti il presidente della Giunta regionale della Campania, Antonio Bassolino e altri 27 indagati. Il procedimento riguarda le presunte irregolarita' nella gestione del ciclo dei rifiuti in Campania. Lo ha deciso il Gip Marcello Piscopo. Il processo comincera' il 14 maggio davanti alla V sezione del Tribunale di Napoli. I reati contestati vanno dalla frode in pubbliche forniture alla truffa aggravata ai danni dello Stato, dal falso all'abuso d'ufficio.

Rifiuti, la miniera d´oro dei Casalesi


Il gip ordina un arresto ma ne respinge altri sei nell´ambito di una indagine del pool anticamorra
Un pentito: così smaltivamo l´immondizia che arrivava dal Nord Sigilli a 3 aziende e a terreni in provincia di Caserta Le ordinanze bocciate per carenza di esigenze cautelari L´affare: il traffico illecito ha riguardato 8 mila tonnellate per un guadagno stimato in circa 400 mila euro
Altro che estorsioni, il traffico dei rifiuti «è una miniera d´oro», ha spiegato il pentito Domenico Bidognetti ai pm Raffaello Falcone e Maria Cristina Ribera. Le sue rivelazioni hanno permesso agli inquirenti di integrare il quadro indiziario raccolto nei confronti di Giorgio Marano, condannato in primo grado all´ergastolo nel processo "Spartacus", e di ipotizzare «la diretta cointeressenza del clan camorristico dei Casalesi nel traffico illecito organizzato dei rifiuti». Nell´ambito dell´inchiesta coordinata dal pool anticamorra e condotta dai carabinieri del Noe e del comando provinciale di Caserta, il giudice Alessandro Buccino Grimaldi ha emesso nei confronti di Marano un´ordinanza di custodia in carcere. Sotto sequestro sono finite tre aziende, del valore stimato in 5 milioni di euro e tre terreni del casertano, due a Frignano e l´altro a Villa Literno, dove i fanghi provenienti dall´impianto di compostaggio di Trentola Ducenta della Rfg di Elio Roma, «invece di essere trattati appositamente e poi lecitamente smaltiti - accusa la Procura - venivano sversati e "tombati"» con il rischio di una loro introduzione nella catena alimentare umana.Il gip ha rigettato per carenza di esigenze cautelari altre sei richieste di custodia, una nei confronti di Roma, già coinvolto in una precedente indagine del pm Ribera, denominata "Re Mida" riguardante episodi analoghi ma non aggravati dalla finalità camorristica. È in quell´inchiesta che emerse lo smaltimento in una cava della provincia di Caserta di 6mila tonnellate di rifiuti provenienti dal consorzio "Milano pulita". Parti offese delle condotte configurate nell´inchiesta, che abbracciano il periodo compreso tra il 1998 e il 2002, sono innanzitutto gli enti che hanno rilasciato le autorizzazioni ma anche quelli che, ricordano i pm, «dovranno sobbarcarsi i costi della bonifica delle aree inquinate». Al tempo stesso però, rimarca il giudice, lo smaltimento illecito dei rifiuti nella nostra regione «è dovuto anche alla complicità di chi è preposto al controllo» o anche al «comportamento compiacente oppure gravemente omissivo o semplicemente leggero di altri, anche nell´ambito delle istituzioni». Discorso analogo anche «per i chimici» incaricati dalle aziende di eseguire le analisi e talvolta «compiacenti alle esigenze del committente». Il traffico illecito di rifiuti provenienti dall´impianto Rfg ha riguardato, stimano i magistrati, 8mila tonnellate di materiale (fanghi di depurazione di acque reflue, scarti vegetali, animali e altro) con un guadagno di circa 400mila euro. Rifiuti anche pericolosi, «lavorati solo fittiziamente», rimarca il coordinatore del pool anticamorra, Franco Roberti.Ma il cuore dell´inchiesta riguarda soprattutto il ruolo del clan dei Casalesi nell´affare. Sottolinea il comandante del Noe, generale Umberto Pinotti: «Qui non siamo in presenza di una "mafia dei rifiuti" bensì di "rifiuti mafiosi"». Ecco dunque il racconto fornito il 10 ottobre scorso dal pentito Bidognetti (cugino del capoclan Francesco) ai magistrati napoletani. Inizialmente, tra la fine degli anni ´80 e l´inizio del decennio successivo, il clan dei Casalesi aveva imposto «il controllo totale del flusso dei rifiuti, non scappava niente. Tutti i rifiuti che venivano dal Nord con terminale la provincia di Caserta era controllato in maniera assoluta dal clan». Ma quello, spiega il collaboratore, «era un vero e proprio accordo economico» con i gestori delle discariche e poi, attraverso una società, al clan che utilizzava la somma «per il pagamento degli stipendi». Le cose cambiano quando i Casalesi hanno l´idea «di non far arrivare i rifiuti nelle discariche previste ma di smaltirli direttamente in maniera abusiva». Strategia balenata per la prima volta nella mente dei boss «in occasione di una chiusura temporanea delle discariche o di un loro sovraffollamento». Il nuovo corso consentì alla malavita organizzata «non solo di ricevere le 5-7 lire al chilo per la gestione» effettuata da una società ritenuta controllata dai Casalesi ma anche «di lucrare direttamente del guadagno dello smaltimento, che era di circa 75-80 lire al chilo».Il tutto, aggiunge il pentito, «con le carte a posto». Bidognetti ricorda che, dopo i primi sequestri di discariche, i Casalesi abbandonarono l´affare rifiuti «almeno fino al 1996». Le indagini della Procura hanno però portato ora a ipotizzare un coinvolgimento nel traffico illecito di Giorgio Marano, che secondo gli inquirenti negli ultimi anni avrebbe scalato la gerarchia dell´organizzazione approfittando dell´uscita di scena di vecchi boss. «Tutte le sue attività illecite - argomenta Bidognetti - sono riferibili al clan perché è impossibile che un´attività illecita sia gestita da un responsabile del clan al di fuori dello stesso».

EMERGENZA RIFIUTI E' FONTE DI REDDITO PER LA CAMORRA

"La condizione emergenziale, che affligge la gestione dei rifiuti in Campania da quattordici anni, ha rappresentato per la camorra la strada attraverso la quale incrementare stabilmente le proprie fonti di reddito ed accrescere il controllo su territorio ed enti locali". E' un'analisi lucida, a tratti impietosa, quella che delineata nella Relazione conclusiva della Commissione parlamentare antimafia, che "non puo' prescindere dalla considerazione degli effetti prodotti dall'abnorme perdurare del regime commissariale". "La domanda sempre crescente di erogazione di denaro pubblico - fa notare la Commissione -, spesso destinato al mero mantenimento delle strutture burocratiche di governo dellemergenza; la creazione di enti di intermediazione (in primis, i consorzi) sovente rivelatisi impropri ammortizzatori sociali, a causa del pesante fardello di lavoratori non impiegati in alcuna attivita' connessa al ciclo dei rifiuti; la possibilita' di derogare alle regole nell'assegnazione di appalti e contratti; la sovrapposizione di competenze con la conseguente polverizzazione delle fasi decisionali, hanno posto le condizioni perche' la criminalita' organizzata potesse agevolmente penetrare in tutti gli snodi decisionali e svolgere il proprio ruolo di intermediazione'. Sul versante imprenditoriale, in particolare, "le imprese camorristiche hanno colto le opportunita' offerte dalla condizione emergenziale sfruttandone i gangli piu' redditizi: dal trasporto dei rifiuti, soprattutto fuori regione, alla individuazione e compravendita dei siti da destinare alle discariche di servizio e all'impiantistica".

"Disimballiamoci!"Contro i rifiuti le buone pratiche che partono dal basso

Sabato, Legambiente lancia la caL’ azione compatta di informazione e sensibilizzazione, parte da una significativa parola d'ordine “Disimballiamoci!”



Basta con gli sprechi inutili e i buoni proposti è possibile iniziare, adesso, a diminuire i rifiuti, influenzando il mercato con acquisti consapevoli, meno impattanti, che incidono meno nei bilanci degli acquirenti e della collettività. La vergognosa situazione di Napoli, l’emergenza rifiuti che oggi colpisce la regione Campania ma che è latente in molte realtà della penisola prova tutte a comportamenti virtuosi . Le scelte sempre rimandate di una politica di smaltimento e contenimento dei rifiuti che si sta rivelando un boomerang per il nostro paese. Per cercare di educare ad una cultura nuova rispetto alla gestione dei rifiuti in tutte le piazze italiane, il 1 marzo, Legambiente lancia una campagna di sensibilizzazione attiva e concreta chiamando i cittadini a realizzare buone pratiche per lo smaltimento dei rifiuti e la loro diminuzione. Sabato, dunque, i volontari dell’associazione si concentreranno fuori ai supermercati a caccia di imballaggi inutili, incontreranno le persone davanti ai centri commerciali per orientarle verso l'acquisto di prodotti che tengono in conto della salute del Pianeta. Alla fine della giornata dopo l'opportuna separazione degli imballaggi inutili verrà spedito il tutto al circuito virtuoso della raccolta differenziata per il successivo riciclaggio.Lo stile di vita adottato e il modello produttivo nei paesi industrializzati produce montagne di rifiuti per le quali è sempre più complicato trovare una sistemazione. Un problema planetario dai costi ambientali altissimi che possono essere abbattuti significativamente applicando la politica delle 4R - Riduzione, Riutilizzo, Riciclaggio, Recupero di energia - snodo fondamentale della strategia sulla gestione dei rifiuti della Comunità Europea. La riduzione della produzione dei rifiuti a monte resta la prima e fondamentale questione da affrontare. In Italia ancora è stato fatto troppo poco in questo senso, tra il 2003 e il 2006 secondo i dati di Apat e Osservatorio nazionale sui rifiuti la produzione nei centri urbani in Italia è aumentata dell'8,3%. “Tutti i cittadini, nel loro piccolo, possono concorrere- afferma ancora Legambiente - ad invertire la tendenza”. Quando si porta a casa la spesa basterebbe pensare quante sono le cose che dalla busta del supermercato vanno direttamente nella pattumiera? La scatola di cartone del dentifricio, il cartone che tiene insieme le tre lattine di pelati, il polistirolo e la plastica in cui confezionano frutta, verdura, formaggi e la lista potrebbe essere lunghissima. Si tratta di migliaia di tonnellate di rifiuti inutili che si potrebbero risparmiare. mpagna davanti ai Supermercati

Storia,denominazione e regolamenti della ndrangheta

Denominazione La "ndrangheta" ha origini antiche, in terra di Calabria, come del resto antico è il suo stesso nome. Secondo alcuni autori che sono i più accreditati, infatti, il termine deriva etimologicamente dalle due parole greche "andropos= uomo e agatos = buono", sicchè sostanzialmente vuol dire associazione di uomini buoni. Del resto questa tesi è confortata dal fatto che anche le altre organizzazioni criminali sono caratterizzate dalla bontà, dalla cavalleria, dal mutuo soccorso, dalla fedeltà e da altri nobili sentimenti, almeno "ab origine ". Per la prima volta si parla di questa associazione come organizzazione criminale, verso la fine del 1800, in un rapporto dei Carabinieri, di stanza nella provincia di Reggio Calabria e precisamente a Seminara. Poi se ne fa menzione anche in un rapporto del Prefetto di Reggio Calabria, dr. Tamajo, al Ministro dell’Interno, sempre nella stessa epoca. Durante la vigenza della nuova camorra organizzata, una parte della ndrangeta, sulla falsariga della "riforma cutoliana" cambiava denominazione in "Santa Violenta". Ciò avveniva sulla base di un verosimile accordo stipulato tra alcuni dei capi della ndrangheta, non meglio individuati, e Raffaele Cutolo, in base al quale le due organizzazioni criminali dovevano fornirsi reciproca assistenza e operare in osmosi per il raggiungimento degli scopi comuni.Excursus Storico - Origini e ragioni della forza della 'Ndrangheta La 'Ndrangheta nasce a metà dell'Ottocento e si afferma nei successivi 50 anni grazie alla scarsa presenza nel territorio delle autorità. Prima come piccoli nuclei di picciotti a Maropati, Gioia Tauro, Sinopoli, Iatrinoli, Radicena, Molochio, Polistena, Melicuccà, San Martino di Taurianova, Palmi, nella Locride a San Luca, Africo, Staiti, Casalnuovo e nella cintura di Reggio Calabria a Fiumara, Villa San Giovanni e nella stessa Reggio Calabria. Poi man mano con organizzazioni sempre più grandi e potenti, la 'Ndrangheta - definita come una "setta che nulla teme" - si impone in tutta la regione. Nel 1897 a Seminara il Maresciallo Michele Mocchetti scopre il primo codice della picciotteria con obblighi e regole, guadagni a seconda del grado.Lo sviluppo economico e militare della 'ndrangheta si realizza con più facilità se lo Stato è assente o poco presente sul territorio. Di tale assenza, o scarsa presenza, l'organizzazione 'ndranghetistica si avvantaggia sotto i punti di vista:· economico: con meno controlli, pattugliamenti, perquisizioni, è sicuramente più facile intraprendere atti e traffici illeciti · politico/militare: diventa anche più semplice stringere la stretta sul territorio, eliminare cosche rivali, piegare ai propri scopi amministratori locali e/o funzionari statali , quindi creare e consolidare una rete di protezione sociale molto forte. · culturale: in parte della comunità allora si può radicare l'idea che la sola forma di controllo del territorio è quella 'ndranghetistica, e quindi è agli 'ndranghetisti che ci si deve rivolgere se si vuole risolvere qualche problema. Quest'ultima idea (se voglio ottenere qualcosa devo parlare con il boss) può portare, sempre in una parte limitata della popolazione, ad un'altra idea, consequenziale: allora lo Stato è nemico, se lo Stato decide di reagire si mette contro i miei interessi, quindi io sto dalla parte della 'ndrangheta.Il Mito e la Leggenda Osso, Mastrosso e Carcagnosso: sono i nomi dei tre cavalieri spagnoli, appartenuti ad una associazione cavalleresca fondata a Toledo nel 1412, che portarono nel Mezzogiorno d’Italia le regole ed i metodi usati dalla Garduna (questo il nome dell’associazione spagnola). Sembra che i tre cavalieri abbiano lavorato per 29 anni nelle "viscere" della terra, precisamente nell’isola della Favignana, sede di un carcere borbonico; alla fine di questo lungo lavoro diffusero le regole sociali di quella che sarebbe divenuta la Mafia in Sicilia, la Camorra in Campania e la ‘Ndrangheta in Calabria. Una leggenda che è servita a creare un mito, a nobilitare le ascendenze, a costituire una sorta di albero genealogico con tanto di antenati.Cos'è - La 'Ndrangheta: la mafia calabrese L’appellativo 'ndrangheta ha molto probabilmente origini grecaniche. La più probabile derivazione del termine 'Ndrangheta è quella dal greco andragathía, traducibile con "virilità", "coraggio", (termine citato con questo significato anche da Tommaso d'Aquino nella sua Summa Theologica) nel senso di "associazione di uomini valenti".Andragathos, infatti, significa uomo valoroso e coraggioso e solo una persona con questi requisiti poteva accedere all'onorata società. Le cosche mafiose calabresi sono ampiamente conosciute con il vocabolo 'ndrina, un'organizzazione locale autonoma, talvolta distinta in maggiore e minore se nello stesso comune ve ne sono due di differente importanza. Anche 'ndrina è di origine grecanica ed indica la persona dalla schiena dritta, che non si piega mai. Un codice, talvolta scritto e spesso tramandato oralmente, regola la gerarchia degli appartenenti. Uno degli statuti sequestrati, delle forze dell’ordine, nel corso di una irruzione compiuta durante un rituale d’affiliazione cosi recita:"L'albero della scienza è diviso in sei parti: il fusto rappresenta il capo di società; il rifusto il contabile e il mastro di giornata; i rami i camorristi di sangue e di sgarro; i ramoscelli i picciotti o puntaioli; i fiori rappresentano i giovani d'onore; le foglie rappresentano la carogne e i traditori della 'ndrangheta che finiscono per marcire ai piedi dell'albero della scienza".L'entrata nella 'ndrina viene chiamata battesimo, non solo per la solennità dell'avvenimento, ma anche perché chi appartiene all'onorata società vi appartiene per sempre; lo 'ndranghetista è infatti un uomo con due battesimi.Organizzazione
Fin dalle sue origini la ‘ndrangheta presenta una organizzazione fondata prevalentemente su base territoriale. Contrariamente a ciò che è avvenuto per gli altri consessi delittuosi, per la ‘ndrangheta – durante varie operazioni di polizia – sono stati rinvenuti e sequestrati numerosi documenti che ne delineano la struttura organizzativa e le norme comportamentali, che sono ancora allo studio degli esperti. Tuttavia unanimi sono i consensi sul fatto che essa non manifesta una struttura unitaria, ma un insieme di associazioni indipendenti l’una dall’altra e aventi competenza su una determinata parte di territorio. Dette associazioni sono denominate cosche e fibbie o ndrine. In seno a una tradizione che alcuni studiosi fanno risalire al secolo scorso, la ‘ndrangheta viene rappresentata allegoricamente da un albero detto "albero della scienza" dove ogni parte del vegetale corrisponde a una parte dell’organizzazione criminale. Così al fusto che rappresenta la parte fondamentale dell’albero corrisponderà il capo cosca o ndrina che è la mente dell’associazione e che impartisce ordini e direttive ai suoi sottoposti sui quali ha potere di vita e di morte. Al rifusto corrisponderà il vice-capo a cui sono affidati i compiti primari di collaborare con il capo e di curare l’amministrazione del patrimonio della società. Ai rami corrisponderanno gli ‘ndranghetisti ormai con svariati anni di attività alle spalle che sono anziani del "mestiere" e che si suddividono sulla base dello specifico settore nel quale operano nelle tre categorie: di sgarro, di sangue, di seta. Si avranno coloro i quali hanno come compito primario quello di riscuotere le tangenti che saranno denominati ‘ndranghetisti di sgarro poiché non accetteranno nessuna replica e dovranno solo pretendere la riscossione del pizzo.Vi saranno - poi - quelli, con funzioni di organizzazione di spedizioni punitive e di gruppi di fuoco nonché della commissione di reati mediante violenza sulle persone e sulle cose, che saranno chiamati ‘ndranghetisti di sangue. Quindi si avranno gli ‘ndranghetisti di seta che saranno coloro ai quali è affidato il delicato compito di condurre trattative, stipulare contratti e avere rapporti con le altre organizzazioni e con l’esterno. Costoro dovranno perciò distinguersi per i modi raffinati e diplomatici, paragonabili, per l’ appunto, al tessuto delicato per antonomasia cioè alla seta. Continuando con le parti dell’albero: ai ramoscelli corrisponderanno coloro i quali sono stati reclutati da poco tempo e, benchè già "picciotti", sono ancora inesperti, deboli, in via di formazione e abbisognevoli di essere seguiti dai più anziani rami. Ai fiori saranno assimilati i giovani d’onore ovvero coloro che aspirano a diventare picciotti. Alle foglie corrispondono gli infami. Infatti coloro che tradiranno l’organizzazione saranno uccisi e quindi faranno la stessa fine delle foglie dell’albero che una volta staccate dai rami non hanno più vita. Alla linfa, invece, sarà assimilata l’omertà. Quest’ultima invero costituisce la vita dell’organizzazione allo stesso modo in cui la prima rappresenta l’alimento fondamentale per il vegetale. Alla base dell’albero viene posta una tomba che rappresenta "l’alloggio" per le foglie ossia per coloro i quali non hanno rispettato il vincolo di omertà imposto dall’associazione.Ricerche recenti hanno consentito di stabilire inoltre che, durante l’alleanza con la nuova camorra organizzata, la ‘ndrangheta -detta anche "santa violenta"- mutuando da quest’ultimo consesso la struttura, era organizzativamente delineata su: un capo santista con compiti di direzione, coordinamento e controllo, poteri decisionali di vita e di morte sui sottoposti, decisioni ultime sugli omicidi eccellenti; un sottocapo santista a destra con funzioni di collaborazione assoluta nei confronti del capo; un mastro di controllo a sinistra con compiti di cura e controllo dell’amministrazione del patrimonio dell’organizzazione; un gruppo armato distaccato in retroguardia, con funzioni di scorta e di esecuzione delle azioni di fuoco e comunque dei reati di violenza.Queste notizie sono state attinte dal codice sequestrato al boss della ‘ndrangheta Giuseppe Chilà rinvenuto nel covo presso il quale lo stesso Chilà, alleato con la nuova camorra organizzata, venne catturato nel 1987.La ‘ndrangheta, dalle risultanze dei documenti, all’epoca era denominata "santa violenta" e mutuava il sistema organizzativo in parte dalla n.c.o..All’inizio degli anni ’90 la ‘ndrangheta era costituita principalmente da due "correnti": una della pianura e una della montagna. Esse avevano un organigramma articolato con molta probabilità nel seguente modo.La prima si estendeva nel territorio di Gioia Tauro, la seconda in quello di Platì. Per entrambe vi erano le cosche, i locali, le ‘ndrine, la società maggiore e la società minore. La società maggiore comprendeva due gradi uno dei capi e dei mastri, l’altro dei fiori o dei doti. Essa era articolata su un "capo locale" e un "capo società" che avevano rispettivamente compiti di direzione e di coordinamento di tutta l’attività delittuosa e di principale collaboratore del capo. Tutti gli appartenenti alla società dovevano rispetto assoluto al capo che a sua volta aveva potere di vita e di morte su ognuno.Vi era poi il "mastro di buon ordine" che era una specie di giudice conciliatore e interveniva ogni qualvolta si presentava all’interno della società un dissidio o una controversia. Il suo compito era per l’appunto quello di far riconciliare i litiganti, senza traumi. Quindi vi era un "amministratore" che curava la contabilità, le entrate e le uscite, i sussidi e il sostentamento alle famiglie dei carcerati. Poi vi era il "mastro di giornata" che si identificava nel capo che a turno aveva il compito di disciplinare l’andamento della società nella giornata, di riferire ai superiori le novità quotidiane e di costituire il punto di riferimento per eventuali difficoltà dei sottoposti. Immediatamente dopo vi era il secondo grado della società che comprendeva i livelli ai quali potevano accedere soltanto i "capi-doti o fiori" e che erano denominati "primi livelli", poi vi erano i cosiddetti "trequartini" che potevano conoscere i tre quarti delle vicende della società. A costoro in sostanza era vietato un accesso completo ai dati sociali ed era a loro permesso di conoscere certe questioni, le più semplici, e non altre più delicate e complesse. Una figura particolare era quella del "vangelista" che aveva il compito di custodire gelosamente il "vangelo" che -come è stato detto- era il codice della ‘ndrangheta e veniva usato nelle cerimonie di iniziazione e di promozione delle quali comprendeva le formule rituali. Questo era un uomo di tutto rispetto e rigorosamente fedele all’organizzazione, anche se non ancora di grado elevato.Vi era quindi il "santista" che aveva il compito di filtrare le richieste di reclutamento e di assumere dettagliate informazioni sulla provenienza e sulla condotta degli aspiranti. Infine vi erano gli "’ndranghetisti di sgarro" e gli "’ngranghetisti semplici". Gli uni rappresentavano il primo anello della struttura operativa ed erano a capo di un gruppo di fuoco che aveva compiti di esecuzioni eccellenti all’interno e all’esterno dell’organizzazione. Gli altri erano al primo gradino della scala gerarchica della società maggiore e avevano svariati e numerosi compiti nell’ambito operativo. Per la "società minore" l’articolazione era più semplice e comprendeva cinque gradini. Tre con funzioni intermedie e due con compiti esecutivi. Vi era il "capo giovane" che impartiva ordini e direttive ai suoi sottoposti e ne riferiva i risultati al mastro di giornata. Era coadiuvato dal "puntaiolo" che aveva funzioni di vice e di guardaspalle anche perchè si era distinto precedentemente per le sue qualità in azioni di fuoco e di violenza. Poi vi era il "picciotto di giornata" che era il membro della società a cui veniva affidato un determinato incarico che doveva portare a termine nell’arco della giornata. Nell’ambito dell’attività esecutiva erano compresi i "picciotti di sgarro" e i "picciotti lisci". I primi erano coloro i quali si erano distinti vincendo una lite con persone che volevano ostacolare la società. I secondi, detti anche "uccelli di primo volo", sono giovani da poco reclutati che cominciano la formazione criminale.ReclutamentoIl reclutamento avviene, come visto per le altre organizzazioni, secondo un rituale prestabilito e più rigido di quelli gia descritti; rituale che viene ripetuto per ogni "promozione" e che ha inizio con il "battesimo", che può avvenire dall’età di 14 anni. Con tale rito l’aspirante entra a far parte della ‘ndrangheta con l’appellativo di "picciotto". Il battesimo, così denominato perché come con il battesimo nella religione cristiana il bimbo entra a far parte della Chiesa, parimenti l’aspirante diventa parte dell’organizzazione criminale, sarà celebrato in un posto isolato – preferibilmente una caverna in montagna – alla presenza del numero minimo di cinque picciotti più il celebrante che sarà uno ‘ndranghetista anziano. Il rito inizia con le domande del celebrante sulla possibilità di dar luogo alla cerimonia. Ottenuta risposta positiva l’anziano, con "il Vangelo" in mano, ammonisce i presenti sull’importanza del rito e intima loro di assumere la posizione prevista con le braccia conserte. Il cosiddetto Vangelo non è quello usato per le celebrazioni cristiane nella Chiesa cattolica, ma è un libro dove sono scritte le regole e i rituali dell’organizzazione criminale. Quindi pronuncia le prescritte frasi: "Battezzo questo locale santo, sacro e inviolabile nella stessa maniera nella quale lo hanno battezzato i nostri avi dai quali noi discendiamo i cavalieri spagnoli Osso, Mastrosso e Carcagnosso, e se un tempo questo luogo era un posto comune da questo momento diventerà un luogo santo, sacro e inviolabile. Se qualcuno non lo riconoscerà come tale ne pagherà le conseguenze con cinque zaccagnate nella spina dorsale come è scritto sulla regola sociale."Al termine di questa locuzione l’aspirante verrà sottoposto a delle prove che serviranno a mostrare agli astanti il suo coraggio. In alcune zone della Calabria la prova consiste nel procurarsi una ferita da taglio con un pugnale sul palmo della mano sinistra che costituirà in futuro un segno di riconoscimento. Parimenti saranno segno distintivo i cinque nomi che verranno imposti al neofita. La cerimonia si ripeterà ogni volta in un luogo diverso per le future promozioni fino a quella a ‘ndranghetista anziano e, in tale occasione, la celebrazione sarà presieduta dal più anziano degli appartenenti all’organizzazione o dal capo in persona. In ogni circostanza il promovendo dovrà dare prova del proprio coraggio, della propria fedeltà all’organizzazione e della propria devozione nei confronti del capo e della società tutta. Oltre al battesimo vi sono altri riti sempre caratterizzati da analogie con quelli della chiesa cattolica e dalla sovente ricorrenza di croci, immagini di santi e preghiere. Una regola che si osserva in ogni rituale pare che sia quella secondo la quale l’aspirante debba sempre conoscere i gradi inferiori al suo ma non quelli superiori, nel senso che esso può avere rapporti con i sottoposti, ma non con i sovraordinati dai quali riverà soltanto ordini. Sembra che questo uso riporti al significato dell’obbedienza che oltre alla fedeltà, all’omertà e al coraggio, è elemento caratterizzante ogni organizzazione criminale. Una cerimonia particolare – è stato scoperto – si avrà in occasione della promozione a ‘ndranghetista anziano. In questa circostanza fermi restando i luoghi e il celebrante che sarà impersonato dal capo o dal vice, il rituale sarà diverso. Il neofita, dopo la pronuncia di una preghiera purificatrice, porgerà la mano sinistra al celebrante con il dorso verso terra. Questo gli afferrerà il polso prima e il dito pollice dopo, quindi inciderà la faccia del dito, con la punta di un pugnale, in modo tale da disegnare due croci. Il sangue che gocciolerà verrà raccolto in un bicchiere. Poi il celebrante brucerà una immaginetta di San Michele Arcangelo e ne raccoglierà la cenere in un altro bicchiere. Questa cenere verrà quindi sparsa sulla ferita procurata prima al neo ‘ndranghetista anziano che abbraccerà e bacerà per due volte tutti gli astanti e, per quattro volte, il celebrante.Regole di condottaNumerosi sono stati i codici sequestrati e/o rinvenuti nei covi della ‘ndrangheta. Ragione per la quale vi è eterogeneità di vedute sulle norme di vita della ‘ndrangheta. Il primo venne trovato in San Luca (RC) dal maresciallo dei carabinieri Giuseppe Delfino, detto "massaru Peppe" e comandante della Stazione Carabinieri di Platì, in occasione della cattura di un latitante in una caverna di montagna. Gli altri quindici (circa) negli anni a venire fino ai nostri giorni sono stati sequestrati o rinvenuti, nel corso di operazioni di polizia, dalle forze dell’ordine in svariate zone della Calabria. Dallo studio di detti documenti sono emersi alcuni caratteri che di seguito verranno descritti e che distinguono il consesso crimonale di cui si scrive dagli altri. La differenza fondamentale tra la ‘ndrangheta e le altre organizzazioni criminali sino ad ora esaminate consiste nel fatto che in seno ad essa assume determinante rilievo la zona geografica dove la cosca o la ‘ndrina opera. Infatti se per la mafia e la camorra i luoghi geograficamente intesi erano un elemento di minima differenziazione esistendo delle regole unitarie comuni a tutti, per la ‘ndrangheta essi rappresentano il fondamento dell'organizzazione. Il vincolo di sangue è il solo legame che unisce gli appartenti alla ‘ndrangheta. I valori e le tradizioni della famiglia intesa nel senso comune del termine sono i capisaldi del consesso e la donna ne è la naturale depositaria. Il suo ruolo assume una fondamentale importanza nei molteplici campi dell’organizzazione.Alla donna sono devoluti nei casi più delicati la funzione di fornire il supporto logistico e il compito di curare i rapporti coi latitanti. Lei raggiunge il suo massimo grado in seno alla ‘ndrangheta con la denominazione di "sorella di omertà" che sta a significare appunto il legame familiare tra la donna e il consesso stesso che non ammette tradimenti nell’obbligato e assoluto silenzio sui fatti interni ed esterni della organizzazione. L’unica deroga a tale regola è la "faida" che consiste in un contrasto all'ultimo sangue tra famiglie e/o all’interno della stessa famiglia. Esso si spinge fino all’eliminazione fisica degli appartenenti al nucleo familiare o interfamiliare ed è caratterizzato da atti di estrema ferocia e distruzione. Non vengono risparmiati neanche gli omicidi di donne, vecchi e bambini.Gli appartenenti alla "ndrina" sono organizzati in maniera particolare rispetto alle altre associazioni criminali, soprattutto per quanto attiene ai rituali. Tante sono le differenze ma ve ne sono alcune più rilevanti e degne di considerazione. Ad esempio gli associati si riuniscono per assumere decisioni relative alla vita dell'organizzazione soltanto nella giornata di sabato e in un determinato orario che varia a seconda delle stagioni dell'anno. Orientativamente l'assemblea ha luogo dopo il tramonto, con il favore delle tenebre. Il rituale prevede tra l'altro che tutti gli appartenenti alla "ndrina" si dispongano, in un luogo predeterminato e purificato dal "capobastone", a forma di cerchio, in piedi, e assumano la posizione di braccia conserte. A questo punto su ordine del maestro di giornata il più giovane degli associati ritira tutte le armi e le consegna a lui. Ultimata tale operazione che viene definita "pulciata" la riunione ha inizio. Alla conclusione della seduta il maestro di giornata provvede a far riconsegnare le armi agli associati (spulciata) che successivamente si recano a una cena. Ciò è segno di consolidamento ulteriore che quanto deciso sarà senz'altro attuato.Nell'ambito delle "ndrine" cui si è già fatto cenno, vi sono degli amministratori contabili che attraverso un "libro mastro" gestiscono le entrate e le uscite dell'illecita organizzazione. In particolare i suddetti dopo aver raccolto tutti i proventi in un fondo comune denominato "bacinella", si occupano del riciclaggio del denaro proveniente dalla attività criminali, del finanziamento per i futuri "lavori" del consesso, delle "paghe" per gli associati, del pagamento dei difensori dei detenuti e del mantenimento delle loro famiglie.Il contabile costituisce anche una riserva nel fondo comune per eventuali ulteriori bisogni.Sanzioni e SimboliNaturalmente anche in questa come nelle altre organizzazioni criminali chi non rispetta le regole e le norme di comportameto viene punito. E contrariamente al nostro sistema sanzionatorio dove la pena ha la funzione di emenda, in quello della "ndrangheta" essa è intesa solo ed esclusivamente come vendetta nei confronti di colui che ha "sgarrato". E' ovvio che la pena anche se con funzione vendicativa, si prefigge nel contempo fini di prevenzione generale ovvero lo scopo preciso di scoraggiare quanti vogliano disubbidire ai capi o comunque non rispettare le regole. Il potere punitivo è devoluto alle "ndrine"che lo esercitano attraverso i loro organi giudicanti che sono denominati (sic!) tribunali composti da un associato anziano che lo presiede e da altri due più giovani che lo affiancano. Vi è poi il "giudice" dell'esecuzione che fa parte del tribunale e che si serve di un puntaiolo che è il materiale esecutore della pena. Le pene più miti, comminate per le mancanze più lievi, consistono nelle coltellate alla schiena che vengono inferte dal puntaiolo al condannato. Quest'ultimo durante l'esecuzione deve stare in posizione eretta e alla presenza di tutti gli associati disponibili, in modo da fungere da esempio. Le ferite non debbono essere letali, in quanto hanno la funzione di punire il colpevole in maniera blanda. Seguono poi le violazioni più gravi che invece vengono punite con la pena capitale. Esse si individuano nella "diffidenza" che consiste nel non riporre fiducia verso i capi o gli altri associati; nell'"abbandono" che significa l'allontanamento dalle riunioni per dissenso su quanto deciso e nella conseguente assenza alla successive cene; nella "carognità" che vuol dire macchiarsi di un tradimento così grave da far sì che il colpevole sia assimilabile a una carogna; nella "connivenza con gli sbirri" che consiste nel collaborare con la magistratura o con le forze di polizia. Nella fase esecutiva a ogni condanna alla pena capitale corrisponderà un modo diverso di attuazione, a seconda della regola violata e della maniera nella quale è stata violata. A ogni tipo di morte, che comunque sarà violenta, sarà additato un significato che prima capivano soltanto gli altri consociati, mentre oggi anche gli estranei all'organizzazione comprendono. Così la morte mediante sevizie indica una condanna per una questione di tradimenti attinenti all'onore della famiglia nella comune accezione del termine. L'esecuzione capitale per mezzo di asfissia con sassi e terra significa che il condannato era in vita un delatore. La morte con fucilata alla schiena è riservata ai traditori che in vita hanno fatto il doppio gioco, tentando di restare nell'ombra, e che dovranno morire senza sapere, né guardare chi li uccide. La morte per impiccagione vuol dire che l'impiccato in vita era stato un vigliacco, un codardo. La strage simboleggia la necessità di sterminio senza pietà contro chi si è reso responsabile di gravi colpe quali la collaborazione con gli organi giudiziari o di polizia. La strage può essere applicata nei confronti dei familiari stretti e dei parenti del collaboratore, ovvero di intere "famiglie" che per varie ragioni sono da ritenersi rivali. Vi sono ulteriori simboli che rafforzano i significati delle condanne e che vanno oltre la morte violenta. Così in alcune circostanze i carnefici sono soliti infierire sul cadavere ormai sepolto che viene dissotterrato, evirato e i suoi organi genitali gli vengono sistemati nella bocca. Questo macabro rituale sta a significare che il cadavere, in vita aveva disubbidito agli ordini del capo supremo.LinguaggioParimenti alle altre organizazioni criminali gli appartenenti alla 'ndrangheta parlano un linguaggio convenzionale prestabilito, ovviamente nel dialetto calabrese che in questo scritto verrà tradotto in lingua italiana. Si è già visto che nelle cerimonie di iniziazione e in altri rituali vengono adottate delle parole e dei gesti predeterminati. Ci si limiterà a descrivere alcune espressioni usate dagli associati in determinate circostanze che pure verranno descritte o ricordate, anche perché dalle ricerche effettuate e dai documenti consultati sino ad oggi non sono risultati ulteriori dati.Vi sono così delle formule previste per l'inizio di una riunione di 'ndrina di cui si è scritto prima. Dopo la già vista purificazione del luogo e la successiva consegna delle armi, il capobastone dice: "Santa sera a tutti li santisti!" Gli altri rispondono: " Santa sera!" Il capobastone domanda: "Siete tutti pronti a sformare la Santa?" Gli altri: "Siamo prontissimi!" Il capobastone: "In questa notte di luce santa, sotto l'illuminazione delle stelle e la protezione dello splendore della luna, viene sformata la Santa Corona, dal capobastone, dal capo santista, maestro di controllo e scorta distaccata." Dopo si passa a discutere dei problemi all'ordine del giorno. Si è visto prima che vi sono anche delle parole prestabilite per i riti di iniziazione e in particolare per le formule dei giuramenti che in alcune 'ndrine assumono le diverse denominazioni di "fedeltà", del "veleno", degli "affiliati". Il giuramento della fedeltà prevede la recita della formula seguente che tradotta in lingua italiana si leggerà: "Giuro su quest'arma e di fronte a questi nuovi fratelli di Santa di rinnegare la società di sgarroe qualsiasi altra organizzazione, associazione e gruppo e di fare parte della Santa Corona e di dividere con questi nuovi fratelli di Santa la vita e la morte nel nome dei cavalieri Osso, Mastrosso e Carcagnosso. E se io dovessi tradire dovrei trovare nello stesso momento dell'infamia la morte."La formula del giuramento del veleno si recita così: "Giuro a nome della Santa Corona e di fronte a questi fratelli di Santa, di portare sempre con me questa bottiglietta di veleno e di non separarmene mai, perché se per caso disgraziato o per qualsiasi altro motivo, dovessi macchiarmi dell'infamia di tradire uno solo di questi fratelli di Santa, con le mie stesse mani prenderei la bottiglietta e berrei il veleno così da morire subito come è giusto per ogni traditore." Il giuramento degli affiliati: " Vi impongo, a nome degli anziani antenati nobili conti di Russia e cavalieri di Spagna che hanno patito ventinove anni di ferri e di catene Osso Mastrosso e Carcagnosso, di consegnare se ne avete tutte le armature bianche e al pari tutte le armature nere. Se le avete e non le consegnerete subito, quando verranno trovate con queste stesse armature sarete praticati." Vi sono ancora espressioni come "il giudice supremo" per indicare il capo, "la santa riunione" per indicare il consiglio della 'ndrina, "il nostro santo cristo" per indicare il primo santista che secondo la tradizione è nato il 25 dicembre poiché in tale data gli è stata incisa la croce sulla spalla sinistra. Anche in questa organizzazione criminale come in quella della mafia si riscontra una straordinaria capacità di confondere il sacro col profano.Cos'è - La 'Ndrina: la famiglia mafiosa Si tratta una famiglia di sangue che controlla un particolare territorio, di solito un paese o un quartiere di una città. Più 'ndrine di un paese formano la "Locale". In Calabria vi sono, attualmente, almeno 150 'ndrine molte delle quali con collegamenti in tutta Italia e all'estero. Il capo di una 'ndrina viene detto genericamente "capubastuni" (capobastone). La struttura gerarchica di una ‘ndrina è composta da, a partire dal grado più basso:· Giovane d'onore, affiliato per diritto di sangue, appartiene quindi ai figli di esponenti già facenti parte dell'Ndrangheta.· Picciotto d'onore ovvero soldato della 'ndrina. · Camorrista, affiliato con più esperienza rispetto al picciotto d'onore con incarichi più importanti. · Sgarrista o Camorrista di sgarro, colui che riscuote le tangenti. · Santista, affiliato che ha ottenuto la "Santa" per meriti legati alla criminalità. · Vangelo o Vangelista, chiamato così dal fatto che giura alla ‘ndrina con la mano sul Vangelo, grado anche questo ottenuto per il precedente motivo. · Quintino, affiliato riconoscibile dal tatuaggio a cinque punte, grado di vertice della ‘ndrina. · Associazione, ha questo grado chi ha parte alle decisioni più importanti prese dalle ‘ndrine in forma collegiale. Vi accedono quindi i capi ‘ndrina col più alto potere ed influenza.Cos'è - Struttura e organizzazione della 'Ndrangheta La struttura interna della 'ndrangheta, poggia sui membri di un nucleo familiare legati tra loro da vincoli di sangue, le 'ndrine. Non sono rari matrimoni tra membri di diverse ‘ndrine per saldare i rapporti tra famiglie.Il numero dei collaboratori calabresi è sicuramente più ridotto di tutti gli altri per diverse ragioni. La prima, e la più forte, è che un mafioso calabrese che dovesse decidere di collaborare dovrebbe per prima cosa chiamare in causa i propri familiari più diretti. Si entra nella 'Ndrangheta, o, per dirla nel gergo, si viene battezzati con un rito preciso, che può avvenire automaticamente, poco dopo la nascita se si tratta del figlio di un importante esponente dell'organizzazione, oppure con un giuramento, per il quale garantisce con la vita il mafioso che presenta il novizio, simile ad una cerimonia esoterica, durante la quale il nuovo affiliato è chiamato a giurare nel nome di nostro Signore Gesù Cristo. Il battesimo dura tutta la vita e ad uno sgarro paga spesso la famiglia del nuovo affiliato. Per questo motivo è difficile trovare pentiti, poiché questi andrebbero contro i loro stessi parenti e familiari e al giuramento che hanno fatto all'ingresso nel mondo della malavita. A tutt'oggi i pentiti di 'Ndrangheta sono pochissimi, tutto ciò rende il fenomeno difficile da combattere e da arginare.La 'ndrina è formata essenzialmente dalla famiglia naturale, di sangue, del capobastone, alla quale si aggregano altre famiglie generalmente, o inizialmente, subalterne. Le famiglie aggregate non di rado sono imparentate a quella del capobastone. Una lunga catena di matrimoni ha contraddistinto la vita delle cosche mafiose sicché è possibile affermare che questa tendenza è comune a tutte le famiglie. Il dottor Boemi ha descritto in questi termini l'evoluzione della 'ndrangheta: "La 'ndrangheta si caratterizza per la presenza nei comuni grandi e piccoli dei cosiddetti locali aperti: locale aperto è quello in cui un gruppo di mafiosi (spesso 30 e più) organizzano la loro attività criminosa. L'affiliazione calabrese avviene essenzialmente in due modi estremamente diversi. In Calabria si diventa mafiosi per generazione, per casato, per discendenza, per il semplice fatto di essere nato in una famiglia di mafiosi. Il figlio di un mafioso è solitamente un mafioso e lo è sin dalle prime classi elementari. Si diventa mafiosi però anche per esigenza, in mancanza di lavoro, per l'assoluta impossibilità in questa regione di avere di fronte uno Stato che risponda nei modi essenziali alle esigenze di vita di un giovane moderno".

Morto il boss Lubrano amico di Riina Condannato per l’omicidio Imposimato L’agguato al fratello del giudice un favore ai Corleonesi


Si fece arrestare senza difficoltà, dopo aver atteso per tre giorni l’arrivo dei poliziotti. Era il 9 novembre di tre anni fa, Vincenzo Lubrano, già malato, era stato condannato anche dalla Cassazione all’ergastolo per l’omicidio di Franco Imposimato, un sindacalista, ma soprattutto fratello del giudice istruttore di Roma, Ferdinando. Una vendetta trasversale, un favore reso ai mafiosi di Corleone. Di quel delitto, Vincenzo Lubrano venne riconosciuto mandante. E non era una sorpresa. Proprio i Lubrano, con tante altre famiglie camorristiche insediate nella provincia di Caserta, costituisce la vera mafia-camorra della regione. Quella in grado, come i corleonesi, di decidere delitti «politici»: contro magistrati, sindacalisti, poliziotti, o sacerdoti. Affiliati a Cosa nostra, come i loro parenti Nuvoletta di Marano. Agli inizi degli anni ‘70, i Lubrano lasciarono Giugliano e si stabilirono a Pignataro Maggiore. Il loro regno, diventato, per definizione unanime «la Svizzera dei clan», area principe di riciclaggi illustri, di latitanze famose, di piani d’azione criminali. Qui, si racconta, Totò Riina, partecipò da latitante al matrimonio di Gaetano Lubrano, detto «Bucaciov», fratello di Vincenzo, in compagnia di altri mafiosi come Pippo Calò e Leoluca Bagarella. Quello stesso Gaetano Lubrano, sposo di Giuseppina Orlando, cugina dei fratelli Nuvoletta, morto in soggiorno obbligato nel 1989, che aveva partecipato al summit di Marano in cui venne decisa la morte del giornalista del Mattino, Giancarlo Siani. Raccontò il pentito Ferdinando Cataldo al pm Armando D’Alterio: «Angelo Nuvoletta è il capo di Cosa nostra a Napoli, Lorenzo Nuvoletta è coordinatore, Gaetano Lubrano era consigliere della famiglia dei Nuvoletta». Un rapporto stretto, tra due famiglie campane affiliate alla mafia. Consolidato anche dal matrimonio tra Rosa Nuvoletta, figlia di Lorenzo, e Raffaele Lubrano, figlio di Vincenzo, ucciso il 14 novembre del 2002 dopo un drammatico inseguimento tra le strade di Pignataro Maggiore. Parentele di peso negli scenari criminali campani. Come anche quella tra lo stesso Vincenzo Lubrano e Raffaele Ligato, che ne ha sposato la sorella ed è rimasto a lungo latitante fino all’arresto in Germania di due anni fa. A Pignataro Maggiore, Comune sciolto per camorra sette anni fa, il peso poco appariscente dei Lubrano si è sempre sentito. Ufficialmente imprenditori edili con la loro «CO.GE» (Costruzioni generali), rintanati nelle loro case-bunker, si sono fatti notare soprattutto per la loro particolare devozione religiosa. Un pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo, sulla tomba di padre Pio, dopo il primo annullamento disposto dalla Cassazione dell’ergastolo a Vincenzo Lubrano per l’omicidio Imposimato nel settembre del 2003. Oppure il restauro, che fece eseguire a sue spese Lello Lubrano poco tempo prima di essere ucciso, di un affresco raffigurante la Madonna nella sala Moscati, vicino la chiesa madre del paese. Un quadro che ora viene detto «la Madonna della camorra», perché sembra abbia ricevuto le preghiere di quasi tutti i boss di mafia latitanti passati a Pignataro. Quattro anni fa, in un’intervista, Rosa Nuvoletta ormai vedova dichiarò: «Pignataro non è più il paese di un tempo, troppa violenza negli ultimi anni». Sembrava un segnale di stanchezza. Che continuava così: «Voglio che i miei ragazzi vivano lontano dalla violenza, mio marito ha pagato per colpe non sue, questo è sicuro. Hanno voluto far credere che fosse un boss». Quattro anni dopo, tutte le nuore di Vincenzo Lubrano erano al suo capezzale. «Adesso non diranno più che fingeva», hanno commentato. Il capoclan, morto a 69 anni nel suo letto (ricoverato a lungo all’ospedale di Caserta) per un male incurabile, ha seguito, ironia della sorte, lo stesso destino del consuocero Lorenzo Nuvoletta. Anche lui, scarcerato per un tumore, ebbe il tempo di chiudere gli occhi a casa sua. Con i familiari.

Camorra, arrestato Di Lauro jr


Nunzio Di Lauro, figlio del boss Paolo capo dell'omonimo clan del quartiere di Secondigliano a Napoli, stava dormendo nella mansarda di un villino a Ischitella (Caserta) quando i carabinieri lo hanno catturato, nella tarda mattinata. Insieme con lui c'erano la moglie e il figlio. Non aveva i documenti ed è stato un carabiniere, in servizio per anni al comando provinciale di Napoli, a riconoscerlo. Attivo nel traffico di stupefacenti, Di Lauro junior ha avuto, secondo gli inquirenti, parte attiva anche nella faida che ha visto contrapposto il suo clan contro quello dei cosiddetti 'scissionisti'. L'appartamento che il figlio del boss occupava è formato da poche stanze, arredato con pochi e non costosi mobili, ma con due televisori al plasma. Sul comodino accanto al letto, due libri della collana de "I cattivi", uno sulla vita di Eduardo Contini, considerato uno dei capi del cartello camorristico dell'Alleanza di Secondigliano, per molto tempo inserito nell'elenco dei 30 ricercati più pericolosi d'Italia. L'altro su quella di Luigi Giuliano, altro personaggio di vertice della camorra napoletana, del quartiere Forcella a Napoli, dove veniva soprannominato 'o' rre". Nel corso della perquisizione i carabinieri hanno trovato anche alcuni DVD sulla vita di Hitler."A me piace la storia - ha spiegato Nunzio Di Lauro, agli investigatori - e mi sto documentando su quella dell'ultima guerra mondiale". I carabinieri, che da qualche giorno tenevano sotto osservazione la zona, hanno circondato il villino e precluso al latitante ogni tentativo di fuga. Paolo Di Lauro, il padre del giovane arrestato, è stato al centro delle cronache per la cosiddetta 'faida di Scampia', una guerra scoppiata dopo la scissione di alcuni fedellissimi dello stesso boss. Nella 'guerra' sono risultati coinvolti altri clan, tra cui gli Abbinante di Marano, i Bizzarro ed i Ronga-Fusco di Melito, i Ferone di Casavatore. Teatri della faida non solo Scampia ma anche i quartieri di Secondigliano e Miano ed i comuni dell'interlan napoletano, tra cui Melito, Mugnano, Giugliano, Bacoli, Casavatore ed Arzano. Il villino nel quale i carabinieri del comando provinciale di Caserta hanno catturato Nunzio Di Lauro è una costruzione a tre piani nella quale soggiornano da tempo anche alcuni immigrati provenienti dalla Nigeria. Il litorale Domizio, per la presenza di migliaia di ville abitate per lo più in estate, ha sempre offerto sicuri rifugi ai latitanti. I carabinieri del reparto operativo e i colleghi dei comandi della zona hanno tenuto sotto osservazione una serie di villini ed edifici di Ischitella, convinti che si nascondessero dei latitanti.

giovedì 28 febbraio 2008

Il crimine organizzato straniero


L'allargamento europeo, che presto porterà nell'Unione anche Romania e Bulgaria, seguite in futuro da Croazia e Macedonia e più in là anche dai paesi dei Balcani occidentali e dalla Turchia, crea scenari di un'Europa multietnica e multiculturale dalle mille risorse, dai confini aperti e con flussi di persone e cose. Di contro, l'apertura delle frontiere che è seguita all'accordo di Schengen, la facilitazione dei movimenti a seguito dell'entrata di alcuni paesi e dell'associazione di altri, costituiscono per le forze dell'ordine italiane un banco di prova. In particolare, il crimine organizzato stranie-ro, per la sua capacità di penetrazione, per il grado di organizzazione e per il genere di settori criminali in cui si è saputo inserire e poi affermare, costituisce una minaccia permanente. Ancor più se si pensa alle sinergie che si sono create con la criminalità locale. Dai primi flussi migratori verso il nostro paese negli anni 1970, l'immigrazione vede oggi una presenza straniera più consistente (intorno al 4%), caratterizzata da una più attiva partecipazione alla vita del nostro paese, che rispecchia la tendenza al radicamento. A questo tuttavia si affianca il fenomeno della clandestinità, uno degli ambiti in cui il crimine organizzato straniero è più attivo. Va sottolineato però che solo una percentuale di immigrati si colloca nell'ambito della criminalità e per lo più tra i clandestini. Si parla molto oggi della de-territorializzazione legata al fenomeno migratorio, perché i migranti partecipano sempre più alla vita politica, sociale ed economica del paese che li ospita e, allo stesso tempo, mantengono legami col paese d'origine e se ne sentono parte. Per questo molti paesi d'origine dei migranti tendono a promuovere collegamenti transnazionali e doppia appartenenza. Questo secondo alcuni porterebbe allo stemperarsi del concetto di diaspora stesso perché, dovunque la gente vada, porta con sé la propria cultura e società. Per quanto riguarda il crimine organizzato straniero, la questione diventa delicata: esso infatti importa anche "culture" e "forme d'azione" criminali diverse dalle nostre, tanto che le legislazioni europee si sono spesso interrogate sull'opportunità di modificare le definizioni degli atti criminali o di inserirne o reinserirne alcuni. La provenienza geografica dei vari gruppi criminali organizzati determina caratteristiche comportamentali, livello di strutturazione, ambito di specializzazione e altro. Albanesi, Rumeni, Ucraini, Nigeriani, Russi, Cinesi, hanno organizzato attività criminali nel nostro paese che vanno dal traffico di stupefacenti alla prostituzione, sfruttamento di lavoro nero, contraffazione e altro. Molte le questioni sulle quali si deve ancora riflettere, soprattutto tenendo conto del continuo e sempre più rapido mutamento che l'avanzamento tecnologico e l'aumentato movimento di informazioni, persone e cose comportano. Bisogna conoscere i gruppi criminali organizzati stranieri e saper seguire i mutamenti che subiscono. Ancora, le strategie di contrasto non possono più muoversi soltanto nell'ambito legislativo italiano, ma nella cornice più ampia dell'Unione Europea attuale e futu

Il rapporto della Dia fotografa un quadro in evoluzione

C’era una volta una pistola appoggiata su un piatto di spaghetti fumanti. La copertina con cui Der Spiegel “celebrava” i due principali brand italiani è vecchia di trent’anni. Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata tanta, e i deboli argini del luogo comune sono stati erosi. Non si può più dire che l’Italia sia il Paese della mafia. Sia perché come ogni brand vincente il sistema-mafia è stato esportato, recepito e rielaborato all’estero, sia perché l’assortimento criminale del mercato locale è stato arricchito da mafie d’importazione. Ma il capitolo di quelle che gli addetti ai lavori chiamano “mafie etniche” è tutto da scrivere, perché se ne sa ancora troppo poco. Una cosa è chiara, comunque: la geopolitica dei fenomeni criminali è strettamente connessa alla geopolitica vera e propria ed il crollo dell’impero sovietico così come la scomparsa delle frontiere tra i Paesi europei, hanno creato un humus favorevole alla diffusione e al consolidamento del fenomeno mafioso. Per sapere quali siano quelle genericamente chiamate “mafie etniche”, basta leggere il rapporto della Dia sul primo semestre del 2007: il documento parla di organizzazioni albanesi, nordafricane, nigeriane, cinesi, rumene e bulgare. Tante le differenze culturali, assorbite, però, in un percorso evolutivo simile. Nascono come piccoli aggregati criminali dediti a reati predatori all’interno della propria comunità per poi passare ad attività più complesse e redditizie. Dal taglieggiamento arrivano al traffico di clandestini e alla prostituzione, e poi al traffico di hashish e marijuana, quindi di eroina e cocaina fino a quello di armi, gestito da gruppi strutturati e ben organizzati. Le regioni dell’Italia centro-settentrionale, soprattutto il nordest, sono il loro territorio di caccia, perché vi circolano più soldi e soprattutto non ci sono mafie autoctone a controllare il territorio, benché il rapporto della Dia confermi una crescente penetrazione anche al sud. È difficile costruire una cartografia delle zone d’influenza o della specializzazione “merceologica”. Il direttore della I Divisione dello Sco, Raffaele Grassi, lo spiega con molta chiarezza: “queste mafie hanno una struttura molecolare, occupano spazi vuoti senza continuità territoriale. Individuiamo un uomo a Perugia e poi lo ritroviamo a Verona. E’ difficile ricostruire le catene associative e i percorsi. Se è vero, poi, che ogni mafia ha una specializzazione, è altrettanto vero che si sovrappongono in quasi tutti i mercati e i commerci, rivolgendosi a fasce diverse. Anche i nigeriani, per esempio, trafficano droga ma quella di qualità è monopolio albanese”. Quasi tutte le organizzazioni sono attive nel traffico di clandestini e di donne da avviare alla prostituzione (i cinesi stanno cominciando solo ora), facili da reperire in patria con le lusinghe o le minacce, in Moldavia come in Nigeria o in Kosovo. Il traffico di stupefacenti è il gradino successivo. Nel panorama italiano, sono gli albanesi (leggi: kosovari) gli unici ad aver compiuto l’intero percorso. Quella kosovara è probabilmente la mafia più potente e spietata in Europa. Ha scalzato quella turca nel controllo delle rotte della droga, dal “triangolo d’oro” fino all’Europa attraverso la “balkan route”, il cui cuore sta in un lembo di terra dalla statualità incerta tra il Kosovo, la Valle di Presevo, il Montenegro e il Sangiaccato. Feudi albanesi, insomma. La struttura clanica, il codice del Kanun che regolamenta il rapporto tra i membri e non lascia scampo ai traditori, le diaspore disseminate in ogni paese occidentale sono i loro punti di forza. Sono i soldi di questa mafia ad aver armato l’Uck e ad aver trasformato il Kosovo in un narcostato governato dai rappresentanti dei principali cartelli. I kosovari fanno affari con la ‘Ndrangheta alla pari e possono permettersi di sfidare Cosa Nostra senza subirne le conseguenze. Il Colonnello Mario Parente, del Ros dei Carabinieri, racconta di una spedizione punitiva compiuta da albanesi contro dei mafiosi, proiezione a Milano di una delle principali famiglie palermitane. I siciliani non si vendicarono mai di quell’affronto. All’estremo opposto si trovano le organizzazioni bulgare e rumene, le meno complesse; in crescita, certo, ma lontane dalla strutturazione e dal peso dei clan kosovari. Sono dedite allo sfruttamento dell’immigrazione clandestina, al traffico di stupefacenti, a reati predatori e alla clonazione di carte di credito, oltre che all’odioso sfruttamento di invalidi mandati a chiedere l’elemosina. In posizione mediana i clan nigeriani. La fotografia del primo semestre 2007 li vede in espansione anche se non si può parlare di salto di qualità. Come gli albanesi hanno una struttura clanica che li rende impermeabili a infiltrati e collaboratori. Il direttore Grassi rivela che le ultime indagini hanno evidenziato un largo uso di centri culturali come copertura di attività illecite. Il ricorso ai riti woodoo e di magia nera è uno strumento costante con cui tengono soggiogate le donne avviate alla prostituzione. Nel Casertano sembrerebbero aver stretto un’alleanza con il clan dei Casalesi e questo ha portato ad una crescita della loro potenzialità operativa.. Beneficiano, inoltre, di una inedita centralità dei paesi dell’Africa Centrale nelle rotte della droga e della presenza di connazionali nei punti nodali dello stesso traffico, in Thailandia, Olanda e Sudamerica. Un discorso a parte si deve fare per la criminalità cinese, la cui azione si sviluppa prevalentemente all’interno della comunità. Lo sfruttamento dell’immigrazione clandestina dalle province del FiJiang e del LiaoNing, due serbatoi di disperazione, sono una risorsa che genera ulteriori guadagni. Una volta in Italia, infatti, i clandestini devono riscattarsi, sono costretti a lavorare in condizione di quasi schiavitù, sono spesso oggetto di sequestri e vengono liberati dietro il pagamento di un riscatto. Altra fonte di reddito è il racket dal quale sono vessati tutti i commercianti cinesi. Anche quella cinese, come le altre mafie, ha dimostrato, però, duttilità e apertura nel collaborare con altri gruppi, quando necessario. La rotta dell’immigrazione clandestina, Pechino-Europa via Mosca e Repubblica Ceca è gestita da una vera e propria joint venture criminale. Resta la droga, comunque, il business principale, quello che fa girare le ruote dell’ingranaggio criminale. Un mercato che prospera anche grazie a confini porosi e autorità doganali che nei paesi più poveri sono spesso sul libro paga dei boss stessi; una vera benedizione per queste organizzazioni. A volte, però, nemmeno la dogana più sorvegliata è un argine sufficiente. Grassi racconta che il traffico di droga oggi avviene anche attraverso uomini e donne incensurati che ingoiano ovuli imbottiti di eroina e viaggiano come normali turisti. Il direttore allarga le braccia e si lascia sfuggire un sorriso velato d’impotenza: “un solo uomo può portare fino ad un kg di droga. Immagini quanti uomini entrano ogni giorno nel nostro Paese e si faccia i conti”.

Beni confiscati

Regioni
Beni immobili
Di cui destinati

Aziende

VALLE D'AOSTA
0
0
0
PIEMONTE
74
40
7
LOMBARDIA
377
209
106
TRENTINO - ALTO ADIGE
15
14
0
VENETO
75
57
3
FRIULI - VENEZIA GIULIA
11
0
0
LIGURIA
10
1
1
EMILIA - ROMAGNA
53
27
8
Totale NORD
615
348
125

TOSCANA
24
12
3
MARCHE
0
0
0
UMBRIA
0
0
0
LAZIO
272
109
76
ABRUZZO
15
11
0
MOLISE
0
0
0

Totale CENTRO
311
132
79

CAMPANIA
1005
544
178
PUGLIA
424
172
18
BASILICATA
9
8
0
CALABRIA
1097
617
36

Totale SUD
2535
1341
232

SICILIA
2953
1081
235
SARDEGNA
68
60
0

Totale ISOLE

3021
1141
235
TOTALE
6482*
2962
671
* Al totale bisogna aggiungere 74 beni immobili di cui non si hanno informazioni sufficienti.
Fonte: Agenzia del demanio - Direzione generale
Aggiornato al 27 settembre 2005

Comuni sciolti per infiltrazione mafiosa dal 1991 al 2007 (febbraio)

Campania
75
Sicilia
49
Calabria
37
Puglia
7
Basilicata
1
Lazio
1
Piemonte
1
Totale
171

Fonte: Direzione nazionale antimafia


E’ Napoli con 44 scioglimenti la provincia in cui si registra il maggior numero di scioglimenti, seguita da Reggio Calabria e Palermo, entrambe con 33 scioglimenti, e Caserta con 22. In 24 casi i Comuni sono stati sciolti più volte: 14 in Campania, 7 in Sicilia, 3 in Calabria.
Sia in Campania che in Calabria sono state sciolte anche delle ASL.

Lotta alla criminalità organizzata


Presenza di organizzazioni criminali in Europa
Gli specialisti del Consiglio d’Europa su aspetti di diritto penale e su aspetti di criminologia appartenenti al crimine organizzato (PS-S-CO), fanno nel loro rapporto annuale una stima, basata sulle risposte comunicate dagli Stati che partecipano a questi studi, relativa alla presenza delle organizzazioni criminali in Europa. Esistono forti disparità per quanto riguarda la natura delle statistiche comunicate e molti paesi non dispongono di dati molto precisi. Tuttavia i paesi possono essere raggruppati in cinque grandi categorie:
I paesi che classificano più di 500 organizzazioni criminali sul loro territorio (Germania, Italia, Polonia, Romania, Russia, Ucraina);
I paesi che contano tra 200 e 500 organizzazioni criminali sul loro territorio (Belgio, Francia, Gran Bretagna);
I paesi che contano tra 100 e 200 organizzazioni criminali sul territorio (Repubblica Ceca, Ungheria, Lettonia, Lituania, Moldavia, Paesi Bassi, Spagna, l’Ex-repubblica jugoslava di Macedonia);
I paesi che contano tra 25 e 100 organizzazioni criminali sul territorio (Danimarca, Irlanda, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Svezia, Turchia);
I paesi che contano meno di 25 organizzazioni criminali sul loro territorio (Andorra, Austria, Croazia, Cipro, Estonia, Finlandia, Grecia, Islanda, Lussemburgo, Malta, Norvegia).

MAFIA: COSA FA IN TOSCANA? REGIONE COMMISSIONA RICERCA


Che faccia ha la criminalita' organizzata in Toscana? Dove si concentra, come e che tipo di reati compie? Sono le domande a cui rispondera' una ricerca mirata che la Regione Toscana ha affidato ad "Avviso Pubblico", associazione di enti locali e regionali per la formazione civile contro le mafie (www.avvisopubblico.it). La ricerca servira' a raccogliere dati oggettivi di carattere giuridico istituzionale utili a disegnare un quadro storico dagli anni '60 ad oggi sulla presenza di criminalita' organizzata di tipo mafioso in Toscana. E dara' una risposta concreta al bisogno che hanno gli enti locali, ma anche le associazioni e le scuole, di conoscere in modo corretto il fenomeno mafioso. La raccolta di materiali e poi l'elaborazione dureranno piu' di un anno perche' si trattera' di studiare non solo gli atti giudiziari dei tribunali toscani ma quelli di tutta Italia, come ha spiegato il coordinatore nazionale di Avviso Pubblico, Pierpaolo Romani. L'iniziativa e' stata presentata stamani a palazzo Bastogi dal vicepresidente della Regione, Federico Gelli, nell'ambito della riunione del tavolo della legalita' e della sicurezza istituto qualche mese fa al quale, tra gli altri, hanno partecipato il prefetto di Firenze Andrea De Martino e il gia' procuratore nazionale antimafia Piero Luigi Vigna. Molte le novita' emerse dall'incontro. Perche' il tavolo, come ha avuto modo di sottolineare il vicepresidente, oltre che aprire e alimentare il confronto sui temi della legalita' e della lotta alla violenza, ha lo scopo di mettere in piedi azioni e progetti capaci di dare concretezza alle idee importanti che lo ispirano. Sono state innanzitutto illustrate le iniziative legate all'anniversario della strage di via de' Georgofili (quindici anni il 26 maggio prossimo) che la Regione presentera' con la collaborazione dell'associazione vittime di via de' Georgofili e che quest'anno si concentreranno sul teatro

MAFIA: IN TOSCANA AUMENTA 'PESO' DI MAFIA RUSSA E RUMENA


- In Toscana aumenta il 'peso' della mafia russa e di quella rumena. Il dato emerge dal rapporto annuale 2007 'Legalita' e giustizia sociale per una Toscana piu' sicura', curato dalla 'Fondazione Antonino Caponnetto'. Un documento che riassume la situazione per l'anno trascorso, sottolineando allo stesso tempo le prospettive per il 2008. Secondo quanto illustrato da Salvatore Calleri, presidente della Fondazione, "la Toscana non e' terra di mafia, ma la mafia c'e' e' non dobbiamo abbassare la guardia". Tre, nello specifico, sono i 'filoni' nei quali si suddivide l'attivita' fuorilegge: la criminalita' organizzata, la criminalita' di strada e l'illegalita' diffusa. Nella criminalita' organizzata, oltre alla mafia cinese, a quella italiana e ad altre mafie straniere, fa la sua comparsa in modo rilevante la mafia russa, gia' presente negli anni passati e che oggi vede le sue zone a maggior rischio in Toscana nelle coste della regione, oltre che Forte dei Marmi, Isola d'Elba, Montecatini e Firenze, soprattutto nel 'segmento' del riciclaggi del denaro sporco. "La Toscana - ha detto Calleri - e' un territorio economicamente ricco e che per sua natura risulta permeabile alle infiltrazioni finanziarie mafiose". Secondo quanto emerge dal rapporto annuale, non si tratta comunque di controlli del territorio come quelli che si registrano nelle regioni del sud, come Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. "Rispetto a queste regioni - ha spiegato il presidente della Fondazione - in Toscana manca il consenso sociale alle organizzazioni criminali ed esiste tra cittadini ed istituzioni una forte identita' antimafiosa, oltre che una notevole sensibilita' ai valori della legalita' e della giustizia sociale".

La Cassazione scarcera figlio di Riina


Presto libero per scadenza dei termini, Giuseppe Salvatore. Il terzogenito del boss è accusato d'associazione mafiosa
La Corte di Cassazione ha disposto la scarcerazione, per scadenza dei termini, di Giuseppe Salvatore Riina, figlio terzogenito del boss di Corleone Totò Riina, detenuto al 41 bis a Sulmona. Riina jr dovrebbe essere liberato a breve. Soddisfazione è stata espressa dall’ avvocato di Riina, Luca Cianferoni.Giuseppe Salvatore Riina è stato arrestato nel 2002. Accusato di associazione mafiosa ed estorsione era stato condannato in primo grado a 14 anni e 6 mesi. In appello la pena era stata ridotta a 11 anni e 8 mesi. La Corte di cassazione, però, aveva annullato senza rinvio la condanna per estorsione e con rinvio quella per associazione mafiosa. Il processo era tornato davanti ad un’altra sezione della corte d’appello di Palermo che aveva condannato nuovamente Riina per l’associazione mafiosa a 8 anni e 10 mesi. I legali, intanto, avevano fatto ricorso al tribunale del riesame di Palermo contro la custodia cautelare in carcere del terzogenito del capomafia di Corleone, sostenendo che nel frattempo erano decorsi i termini di carcerazione. I giudici della libertà l’avevano respinto. I difensori si sono rivolti a questo punto alla Cassazione «che - ha detto l’avvocato Cianferoni - ha annullato la misura senza rinvio, disponendo la liberazione immediata di Riina».

«Niente casa popolare a boss e pedofili»esclusi dall'assegnazione anche estortori e falsi poveri


L'ultima sfida del sindaco di Gela, Rosario Crocetta, finito più volte nel mirino dei clan nisseni



L'aveva detto e ha mantenuto la sua promessa. All'inizio di febbraio gli inquirenti hanno sventato un piano delle cosche nissene per uccidere il primo cittadino, considerato scomodo per il suo tentativo di gestire gli appalti in maniera limpida, per la lotta al racket delle estorsioni, "colpevole" secondo i boss anche di aver licenziato la moglie di un capo mafia assunta dal Comune perché risultava «nullatenente». «Continuerò la mia battaglia» ha detto in quell'occasione Crocetta riferendosi alla sua lotta alla mafia. Promessa mantenuta: il Comune di Gela ha escluso dalla graduatoria delle case popolari mafiosi, pedofili, falsi poveri e quanti hanno precedenti per estorsione.
I DATI - L'amministrazione ha assegnato martedì 80 alloggi, tenendo fuori boss e pedofili ma non solo. Su 160 iscritti infatti sono state riscontrate una sessantina di dichiarazioni false. Una ventina di persone inoltre, tra quelle iscritte, hanno riportato condanne per le quali il Comune aveva previsto l'esclusione dal diritto della casa popolare.
GLI ESCLUSI - Dalla graduatoria sono stati depennati, oltre a quanti sono accusati di truffa, anche persone con precedenti per mafia, estorsione e reati di pedofilia. Il Comune di Gela applica questa linea non solo per l'assegnazione delle case popolari ma anche per altri interventi di tipo sociale: l'amministrazione guidata da Crocetta fa sapere infatti che a coloro che hanno precedenti per esorsione, mafia e pedofilia «non vengono concessi contributi e agevolazioni».

martedì 26 febbraio 2008

San Giovanni Valdarno la Guardia di Finanza sequestra impianto di stoccaggio rottamazione e smaltimento di rifiuti


Nell'ambito di una operazione coordinata a livello provinciale a tutela dell'ambiente, i finanzieri della Compagnia di San Giovanni Valdarno hanno individuato e sottoposto a sequestro un impianto di stoccaggio gestito in difformità alle prescrizioni previste dalle autorizzazioni concesse dalle competenti Autorità.Il gestore della struttura di rottamazione, tale F.S. di anni 41, è stato denunciato alla locale Autorità Giudiziaria per violazione dell'art. 256 inerente la conservazione e smaltimento dei rifiuti.L'impianto è collocato all'interno di un'area di circa 5.500 mq che conteneva oltre 200 tonnellate di rifiuti speciali e pericolosi, al di fuori dei limiti consentiti.Sulla superficie, le Fiamme Gialle hanno altresì rinvenuto numerose carcasse di auto accatastate, nonché oli lubrificanti e liquidi refrigeranti estratti dai rottami dispersi senza alcuna tutela igienico - ambientale.L'intervento, eseguito in sinergia con personale della Polizia Provinciale, l'ARPAT, l'ASL e l'Ispettorato del Lavoro, ha permesso anche di individuare n. 2 lavoratori "in nero", in merito a quest'ultima circostanza, la ditta è stata oggetto di provvedimento di sospensione dell'attività imprenditoriale.

CAMORRA: 17 ARRESTI E SEQUESTRATI BENI 6 MLN EURO IN TOSCANA


Dall'alba di oggi militari del G.I.C.O. del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Firenze stanno eseguendo 17 misure restrittive a carico di altrettante persone appartenenti ad un'organizzazione a delinquere di stampo camorristico che operava in Versilia, dedita all'usura, all'abusivismo finanziario ed al riciclaggio. E' quanto si legge in una nota. Il provvedimento e' stato emesso dal G.I.P. del Tribunale di Firenze su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia a conclusione di un'articolata attivita' investigativa, protrattasi per oltre due anni, durante la quale e' stato tratto in arresto un pericoloso latitante ritenuto personaggio di spicco della criminalita' organizzata catanese, appartenente al clan mafioso dei Santapaola, gia' gravato da numerosi precedenti per associazione di stampo mafioso. Gli arresti ed i sequestri di beni, mobili ed immobili per un valore complessivo di oltre 6.000.000,00 di euro, sono stati eseguiti a Viareggio, Napoli e Giugliano in Campania.Questo dimostra che le organizzazioni criminali oramai hanno ramificazioni in tutta Italia indi per cui tutte le istituzioni devono vigilare attentamente.Congratulazioni alla Guardia di Finanza per aver portato a termine questa operazione.

lunedì 25 febbraio 2008

RIFIUTI: GRILLO, SONO QUI PER CHIEDERE SCUSA AI CAMPANI


"Sono venuto a chiedere scusa a una regione martoriata dalla storia, per quello che e' stato fatto a questa terra qui, per i vari Berlusconi e Veltroni, e Bassolino e Iervolino e Mussolini". Cosi' esordisce Beppe Grillo in una affollata conferenza stampa a margine del "Monnezza day" organizzato dai meetup grillini e da alcune associazioni a Napoli per protestare contro la gestione dell'emergenza rifiuti in Campania ed educare alla differenziata spinta. "La vostra emergenza e' stata voluta e calcolata a tavolino dalle banche e da Impregilo - attacca subito - la camorra ha fatto solo d manovalanza, anche perche' non e' stupida, non e' quotata in borsa e non vuole chiasso per i propri affari". E ancora: "voglio denunciare la gente che va in televisione e dice che gli inceneritori non fanno male alla saluta, perche' sono dei killer. Questo paese e' tenuto in coma farmacologico dai media e la gente non sa". Grillo chiede scusa per "l'altra meta' degli italiani che vi tratta da cialtroni e camorristi" ("prego, prego", gli risponde qualche giornalista facendo dell'ironia, dopo aver subito la prevedibile tirata sull'informazione che non informa) e provoca, proponendo una sorta di Lega in salsa napoletana. "Dall'altra parte dell'Adriatico - dice - 2 milioni di persone sono diventate indipendenti. Bene, forse e' l'ora di fare il referendum e staccarvi da Roma".''Le prossime elezioni sono illegali, illegittime e antipolitiche''. Lo ha detto Beppe Grillo salendo sul palco di piazza Dante a Napoli nel "giorno del rifiuto" davanti a circa 15mila persone. Grillo ha anche dichiarato che non andrà a votare: "Veltroni e Berlusconi ormai si copiano a vicenda - ha aggiunto - l'unica scelta fra i due non è sul programma ma solo sul colore dei capelli''. Poi, sui rifiuti, il comico ha chiesto scusa ai napoletani.
Beppe Grillo, subito dopo la conferenza stampa svoltasi nel convitto Vittorio Emanuele in piazza Dante a Napoli, si è detto "orgoglioso" di aver deciso di non andare a votare: "Se non c'è la riforma delle legge elettorale il voto è una gran presa in giro per i cittadini - ha proseguito - perchè non si ha la possibilità di scegliere nè il rappresentante nè il partito e da oggi neanche il programma che è lo stesso fra Pdl e Pd''.
Secondo Grillo, "Veltroni e Berlusconi ormai si copiano a vicenda. L'unica scelta per il cittadino fra i due non è sul programma ma solo sul colore dei capelli''. Per Grillo Pdl e Pd sono soltanto delle sigle che non significano nulla: ''La sinistra doveva essere l'alternativa alla destra invece si è rivelata una falsa amica''. Il comico genovese ne ha avuto per tutti, dalla stima per Di Pietro che ''ha sempre abbracciato la filosofia del blog'', alla critica aspra nei confronti di Casini, a cui il comico ha attribuito il nomignolo ''Azzurro Caltagirone''. ''Dovrebbe occuparsi della famiglia di suo suocero che ha un conflitto d'interesse enorme'' ha detto Grillo del leader centrista. Poi non si è sbilanciato sulla scelta di Sinistra Arcobaleno: ''Andrà avanti per la sua strada con le sue idee''.
Grillo ha concluso affermando che ''il cambiamento è affidato alla buona volontà di tutti i cittadini che decidono di occuparsi della politica reale dal basso, e senza l'influenza dell'ingerenza di una informazione che ritiene tutti in uno stato di coma farmacologico''. Il comico smentisce poi la presentazione di sue liste alle prossime elezioni politiche e conferma invece di proporre liste civiche alle amministrative e alle regionali. ''Il nostro modo di fare politica parte da un concetto diverso, noi usiamo avvocati, petizioni e referendum per un'azione che parta dal basso'', dice Grillo.
Poi Grillo è passatoa a parlare dell'emergenza rifiuti: "'Vogliono farvi passare per briganti dal 1861, vi chiedo scusa a nome dell'altra metà del Paese che non vive di luoghi comuni". ''Siete stati traditi e umiliati da persone che hanno fatto solo quattrini - ha detto la senatrice Franca Rame presente all'incontro - ai camorristi come Sandokan dico di provare rimorso per aver portato nella vostra terra i rifiuti tossici delle imprese del Nord. La politica, poi, ha bruciato decine di miliardi per favorire delle imprese e non risolvere i problemi''.
Ha partecipato alla "giornata del rifiuto" anche il magistrato Luigi De Magistris che ha voluto salutare il comico genovese dietro al palco di piazza Dante e gli ha consegnato una lettera che Grillo ha letto pubblicamente in piazza. ''Sul tema dei rifiuti, dalle indagini che ho svolto nel settore dell'emergenza ambientale sono emerse collusioni di numerosi ambienti istituzionali e io stesso in prima persona ho subito minacce e intimidazioni'', ha denunciato De Magistris.
''Su temi così importanti per la vita delle persone ho preferito rimanere tra il pubblico e per questo ho inviato un messaggio di gratitudine e adesione alla vostra manifestazione. Apprezzo - si legge ancora nella lettera del magistrato - la capacità di Grillo di entrare nel cuore dei problemi e di individuare le responsabilità politiche e istituzionali di questo scempio che offende la dignità di una regione e di una nazione. Tutti insieme possiamo contribuire con il nostro impegno quotidiano e rendere l'Italia un Paese migliore'' ha concluso il magistrato. ''Questi sono gli esempi da seguire'', ha detto Grillo nel salutare De Magistris.

Rifiuti, Corte dei Conti: ''Per Campania danno di immagine da 140 milioni''


''Negli ultimi anni speso inutilmente un fiume di denaro'' . Il procuratore regionale campano della magistratura contabile: ''E' la stima complessiva di 14 anni di emergenza. Effetti devastanti dalla crisi in atto, molto al di là delle più nere attese''
Il danno di immagine che la Campania subisce a causa della decennale emergenza rifiuti si calcola in non meno di 10 milioni di euro all'anno. A indicarlo è il procuratore regionale campano della Corte dei Conti, Arturo Martucci di Scarfizzi, che spiegando il peso sulle finanze pubbliche della crisi in atto parla di "effetti devastanti, andati molto al di là delle più nere attese". Perché, denuncia la magistratura contabile campana, "al fiume di denaro inutilmente e spesso illegittimamente speso negli ultimi anni, si è aggiunta ora un'emergenza sanitaria, ambientale, economica che ha già iniziato a produrre e produrrà effetti deleteri sull'assetto socio-economico campano e quindi anche sulle finanze pubbliche". Se moltiplicato per i 14 anni di emergenza rifiuti nella Regione, il dato porta il solo danno di immagine cumulato a circa 140 milioni di euro complessivi. Per il procuratore regionale campano della Corte dei Conti, dunque, ''l'emergenza rifiuti sta provocando e provocherà notevolissime fuoriuscite di denaro pubblico, indipendentemente dalle soluzioni scelte per superarla, oltre quello che è stato speso finora senza risultati". A ciò si aggiunga la vasta eco della vicenda, con ''tutta la stampa locale, nazionale e internazionale'' che ''ha dato risalto al disastro che si andava compiendo in Napoli e in Campania, con riflessi sull'immagine non solo di tali enti territoriali, ma anche dell'Italia all'estero''.

ECOMAFIA: NOE DI AVERSA SMANTELLA TRAFFICO DI RIFIUTI


Colpito da un'ordinanza di custodia un esponente di spicco della camorra nell'ambito del "clan dei casalesi". I Carabinieri del NOE e del Reparto Territoriale di Aversa, dopo numerose investigazioni, hanno smantellato un'associazione camorristica dedita al traffico illecito di rifiuti e alla commissione di delitti contro la persona ed il patrimonio, facente capo al potente "clan dei casalesi", radicato e operante prevalentemente nella provincia di Caserta. L'organizzazione, per non sostenere il costo del regolare smaltimento dei rifiuti, per conseguirne profitto, ha simulato attivita' di compostaggio mai effettuate, smaltendo invece abusivamente, su terreni agricoli messi a disposizione da compiacenti proprietari, rifiuti costituiti da fanghi di depurazione ed altri comportabili, per quantitativo di piu' di 8.000 tonnellate di rifiuti ed un guadagno illecito di circa 400.000 euro. Accogliendo le richieste della Procura della Repubblica - DDA di Napoli, dei Pm Raffaello Falcone e Maria Cristina Ribera, il GIP del Tribunale di Napoli ha emesso un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti del capo dell'organizzazione, disponendo il sequestro di tre vasti appezzamenti di terreno agricolo nella provincia di Caserta, dei locali in uso a una societa' di trasporti con tutti gli automezzi utilizzati per i trasporti di rifiuti e di un grosso impianto di compostaggio. I reati ipotizzati sono quelli di concorso in attivita' organizzata per traffico illecito di rifiuti e truffa aggravata ai danni del Commissario di Governo per l'Emergenza Rifiuti, della Regione Campania e degli Enti locali interessati alla raccolta e allo smaltimento di rifiuti.